
Quanto accaduto a Torre De’ Busi, dopo l’arresto del probabile assassino di Maria Adeodata Losa, è sintomatico degli atteggiamenti contrastanti che oggi si hanno di fronte alla violenza. La si teme, ovviamente, se ne ha paura, ma una certa linea di pensiero vorrebbe sempre e comunque che fosse opera di un estraneo, di uno straniero. Quando, poi, questa violenza, colpisce in un piccolo borgo di quattro case, in cui, teoricamente, certe cose non dovrebbero accadere, allora il desiderio che l’autore sia qualcuno venuto da chissà dove, diventa ancora più forte. Pur di fronte ad un episodio sanguinoso ed atroce, lo si vorrebbe allontanare attribuendolo a qualcuno che non può essere come noi: deve essere a tutti i costi diverso. E’ una comprensibile difesa che a Torre De’ Busi è stata smentita dai fatti. Purtroppo il colpevole era proprio una persona che in quella comunità viveva. E il tentativo paradossale di esorcizzare lo spettro del male che si annidava dentro quelle quattro case, è nelle parole di una donna del paese, che ha estremizzato il tutto sostenendo che il presunto colpevole non era di Torre De’ Busi ma di Lecco. Quasi che i pochi chilometri che dividono le due località siano una scusa sufficiente per etichettare l’arrestato come uno “straniero”.
Si era vissuto lo stesso sentimento ai tempi della strage di Erba, quando, in un primo tempo, tutti, stampa compresa, avevano facilmente individuato in Azouz Marzouk, marito e padre di due vittime, il colpevole ideale, ma, come sappiamo, non era così. Anche allora gli assassini erano i vicini di casa. Manzonianamente parlando, potremmo archiviare sbrigativamente il tutto dicendo che il male si annida da sempre tra gli uomini, ma non è certo una consolazione. Lo stesso Blaise Pascal scriveva che «tutto il male comincia quando uno decide di uscire dalla sua stanza».
Pensando a quanto accaduto in Valle San Martino, si può benissimo declinare il pensiero del pensatore francese, rimarcando come non serva uscire di casa, il male ti può raggiungere anche dentro la tua stanza. Tutto questo per dire che l’uomo è molto, troppo complicato per pensare di incasellarne i comportamenti dentro luoghi comuni. Oggi che viviamo in società multiculturali ed etnicamente composite, è sin troppo semplice individuare il male nel diverso, in colui che ci è in apparenza differente.
L’equazione sarebbe semplice e consolatoria, la realtà è un’altra. Sarebbe molto più facile poter dividere l’umanità in buoni e cattivi, come facevano i primi della classe, sulle lavagne di aule che oggi appartengono solo ai ricordi. In quei casi era una riga disegnata col gesso a mettere a posto il mondo e, poi, bastava un cancellino per annullare sgradite graduatorie. Oggi, come allora, tutto è molto più complicato. Troppo spesso, i corti circuiti della mente umana sono insondabili e certi comportamenti risultano imprevedibili. Quanto accaduto a Torre De’ Busi rientra in quella oscura cecità della ragione, che impedisce qualunque giudizio. Certo, il colpevole è stato arrestato, la comunità del piccolo borgo può «tornare a vivere serenamente» come ha detto il parroco don Roberto Trussardi, ma certe cicatrici non sono archiviabili tanto facilmente. Tra le case di Sogno è accaduto qualcosa di enorme e non sarà semplice dimenticarlo. Rimane la necessità di interrogarci sulla nostra fragilità. Allontanare il problema, solo perché il colpevole è di Lecco, non cambia le cose, semplicemente le rimuove.
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