Cinque anni. Sono pochi, sono tanti? Sono sufficienti a disegnare il profilo di una Lecco che sia attrezzata a cogliere le sfide dell’economia. Paroloni, quante volte si sente parlare di sfide da vincere? Di un futuro che non è più quello di una volta, e a pensarci bene nemmeno il presente assomiglia a quelli a cui eravamo abituati, sconvolto dal cigno nero della pandemia che ha fermato il mondo e sta imponendo nuovi modelli: si pensi allo smart working che fa risparmiare le imprese, migliora l’ambiente, ma svuota i centri urbani e così mette in crisi numerose attività.
Resta che globalizzazione e digitalizzazione impongono rapidità e freschezza mentale nel cogliere gli scenari in movimento continuo, che è come dire che il terreno nel quale si cammina lascia pochi riferimenti. Uno sui quali Lecco può contare è la forza nel manufatturiero, che ne fa una delle capitali italiane dell’industria. Le fabbriche sono cambiate, le produzioni non sono più quelle di una volta, restano le competenze e le conoscenze che nei decenni si sono stratificate e diffuse nella cultura del fare lecchese. E se il presente, e ancor di più il domani sarà dell’economia della conoscenza, nei prossimi cinque anni Lecco deve saper consolidare il patrimonio culturale che gli appartiene da decenni (se non da secoli).
E quindi? Bisogna continuare a investire nella formazione. Non ci sono altre strade, se non si vuol finire sbranati dalla concorrenza che è globale, se si vuole aumentare la produttività delle nostre imprese e continuare a crescere, se si vuole competere sui mercati con la tecnologia e l’innovazione, e lasciare ad altri la battaglia sui costi, perché tanto prima o poi arriva sempre qualcuno, che lavora in posti lontani e sconosciuti, che riesce a produrre a meno.
Bisogna investire nella formazione se si vuol preparare un futuro meno incerto e meno precario alle nuove generazioni. Formazione significa dare alle scuole di ogni ordine e grado risorse e strutture per offrire la migliore didattica. Significa continuare e rafforzare il dialogo con il campus universitario, giacimento di cultura e innovazione tecnologica con il quale lavorare per lo sviluppo (a lungo termine) del territorio. Significa giocarsi con un progetto forte l’opportunità urbanistica della Piccola, un’area attaccata al campus e che ne può segnare il logico e naturale sviluppo, con produzioni qualificate e innovative, con laboratori, con sviluppatori e incubatori di startup, magari anche con spazi verdi che valorizzino quella che è una zona baricentrica della città.
Economia della conoscenza vuol dire anche rendere la città attrattiva per i talenti che portano conoscenze e intelligenza, in definitiva ricchezza. Una città attrae se offre un’alta qualità della vita, che è fatta di cura dell’ambiente, tolleranza, tecnologia, info e infrastrutture, servizi, offerta culturale e per il tempo libero. Su questo terreno Lecco può giocarsela, pur avendo ancora ampi margini di miglioramento.
Un’ultima annotazione: Lecco sappia ritrovare l’orgoglio che negli ultimi anni è andato perduto. L’orgoglio che sul finire degli anni Ottanta e nei primi Novanta l’ha spinta a farsi provincia, a progettare e a portare a compimento importanti opere (pensiamo all’attraversamento, al nuovo ospedale, al campus, alla sede della Camera di commercio), ad avere un’identità forte da giocare nei tavoli regionali e nazionali. E non si dica che è colpa della globalizzazione che ha annacquato identità e reso le radici meno profonde. La verità è che troppo spesso hanno prevalso logiche di corporazione, del piccolo vantaggio immediato, a danno di una visione di lungo periodo e complessiva. Così ha perso la comunità. Ha perso Lecco.
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