con mio grande sollievo il grande baraccone nazionalpopolare del Festival di Sanremo ha levato finalmente le tende e per un altro anno, per fortuna, non se ne sentirà più parlare.
Ma al di là delle “celentanate”, degli spacchi inguinali di vallette al silicone tatuate come Steve Mc Queen in “Papillon”, del sempiterno Morandi che ormai sembra il dottor Faust, e della desolante pochezza musicale ascoltata sul palco dell'Ariston, a urtarmi è stato il linguaggio di Rocco Papaleo, caricatura del meridionale furbo, con baffetto e ammicco a getto continuo.
La cosiddetta “comicità” odierna, assolutamente povera di contenuti e spunti di genio, deve per forza di cose far riferimento alla sfera sessuale più vieta e trita per strappare a un pubblico privo di gusto e sensibilità uno sforzato sorriso. E pensare che a Walter Chiari bastava comparire in scena anche senza parlare per scatenare la risata, bastava un'occhiata in tralice o un gesto appena accennato…
Angelo Ribolzi
Lecco
Caro Ribolzi,
personalmente avevo molto apprezzato il Rocco Papaleo del delicato "Basilicata coast to coast". Evidentemente anche lui, bravo artista, a Sanremo ha dovuto pagare pegno. La comicità o la satira che dir si voglia, riflette il mondo in cui viviamo, e l'eccesso verbale cui siamo ormai abituati nel quotidiano dà esca a chi di questo si serve per creare personaggi e situazioni sul palcoscenico dei teatri e davanti alle telecamere della televisione.
Oggi il mondo dello spettacolo è diventato una terra di frontiera dove chi urla di più ha maggior successo perché più aderente ai modelli correnti, soprattutto tra i giovani. Fa male pensare come la comicità raffinata di Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi, quella intellettuale ma graffiante di Franca Valeri o l'altra splendidamente anarchica di Walter Chiari siano già cose appartenute a un passato che ci sembra davvero remoto.
Vittorio Colombo
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