Homepage
Giovedì 15 Febbraio 2018
Rimborsopoli, la politica
e i mali della rete
Rimborsopoli, la politica e i mali della rete
Una volta quando qualcuno proponeva un oggetto di presunto prestigio ma di infima qualità si usava ribattere: “l’hai trovato nelle patatine?”. Adesso, magari, di fronte a certi onorevoli della Repubblica si potrebbe opporre un “l’hai scelto con la parlamentarie?”. Perché la faccenda esplosa con orologeria elettorale (merito indubbio delle Iene che però, guarda caso, trasmettono su una certa rete tv), quella dei furbetti del rimborsino (o rimborsone viste le cifre) tra i parlamentari Cinque Stelle riporta in primo piano i criteri con cui si seleziona adesso il ceto politico.
La bufala della democrazia assoluta della rete ormai, lo sanno anche i sassi, è, appunto, una fake news. Il modo in cui un aspirante candidato del movimento di Beppe Grillo e Davide Casaleggio finisce in lista rimane in gran parte oscuro e misterioso. Se Rousseau tornasse sulla Terra, con ogni probabilità, pretenderebbe di eliminare l’accostamento tra il suo nome e la piattaforma che se non è illuminista certo appare poco illuminata. Scegliere i candidati a colpi di click fornisce ottime speranze per un approdo a Montecitorio o palazzo Madama anche a personaggi simili al “Napalm51” di Maurizio Crozza . Poi non c’è da stupirsi se magari si dimenticano di fare i bonifici per il versamento al fondo in favore delle piccole imprese, una delle bandiere ostentate dai pentastellati.
La questione però può essere estesa a tutte le forze politiche e al loro rapporto con la rete e i social in campagna elettorale. Perché esiste un evidente contraddizione tra l’effimero del web e la concretezza che dovrebbe essere propria della politica, tra il falso che impera nei social, dove non a caso sono nate e prosperano le fake news, e il dovere della verità a cui è vincolato (almeno sulla carta) chiunque pretenda di rappresentare il popolo, tra la comunicazione via slogan tipica dei new media e la necessità di ragionamento.
Anche su Facebook dove spesso compaiono dei piccoli comizi è difficile trovare qualcuno che decide di puntare il mouse sull’opzione “altro” per leggersi l’intera pappardella. Perché la rete è il luogo della brevità, del mondo che ci corre davanti con noi che ci affanniamo nel vano tentativo di raggiungerlo come l’Achille del mito con la tartaruga. Ecco perché, questa più di altre campagne elettorali segnata da slogan e da promesse che hanno fondate possibilità di diventare fake news è la più social di tutti, nel bene e soprattutto nel male.
Però dove va a finire la naturale complessità della politica? Nel 1962, ci vollero più di sette ore per il discorso con cui Aldo Moro fece digerire alla Dc la travagliata svolta del centrosinistra, con l’apertura all’ingresso del Psi nell’area di governo. Immaginatevi una cosa del genere oggi nell’epoca dei social. Sarebbe stata impossibile. Eppure la politica non è cambiata in oltre 50 anni, deve sempre fornire risposte e soluzioni alle istanze e ai bisogni sociali. Insomma, per far ritornare i cittadini alle urne, sarebbe necessario ragionare ed elaborare di più anche nei criteri di scelta dei candidati che non devono essere solo fedeli vassalli dei segretari di partito ma neppure uscire dalla roulette del web. Una volta per aspirare a un posto in lista occorreva un duro tirocinio fatto di presenze in sezione e di tanti manifesti incollati. Era anche un modo per verificare l’affidabilità di chi si proponeva rispetto al partito. Poi con la crisi di questi ultimi è cambiato tutto. E a quanto pare non in meglio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA