ho letto l'articolo in cui l'architetto Anselmo Gallucci critica il costruendo palazzone prossima sede del nostro tribunale, sostenendo che l'edificio rovina lo skyline della città, balzando fuori in maniera prepotente dalla macchia degli alberi sul lungolago. In effetti, visto così, ancora allo stato di “scheletro”, il palazzo ha tutta l'aria di un nuovo ecomostro in vetrocemento.
Vedo anche che il presidente della sezione lecchese di Italia Nostra, Domenico Palezzato, giudica invece positivamente la costruzione, chiedendo ai cittadini la pazienza di vederla terminata. E, infine, la proposta del presidente della Canottieri Marco Cariboni di abbatterne un piano.
Così vicino al lago, il palazzo del tribunale è davvero un pugno nell'occhio, sia a chi lo osserva da terra, sia a chi arriva via acqua, una strana “cima” himalayana in mezzo alle colline prealpine.
Anche se faccio un lavoro diverso, sono piuttosto appassionato di architettura e ho avuto modo recentemente di seguire, a villa Panza di Varese, gli interessanti incontri con le “archistar” d'Europa, da Mario Botta a João Nunes, che hanno spiegato come il centro di una città si sia trasformato da luogo di aggregazione per la collettività, in un insieme di edifici spesso anonimi, che la sera si svuotano dopo l'orario d'ufficio.
Così, a mio modesto avviso, inserire un ulteriore monolite di cemento nel nostro lungolago non contribuisce alla serenità di chi cerca armonia nell'osservazione del paesaggio.
Mirko Salvetti
Lecco
Caro Salvetti,
pare non ci fossero molte alternative alla “salita verticale” del nuovo tribunale, e indubbiamente il palazzotto è abbastanza impressionante, specialmente visto dal lago. In effetti le ultime tendenze dell'architettura vorrebbero l'interazione completa tra il professionista e la città in cui lavora, per avvicinare il più possibile l'opera ai desideri anche pratici della gente. Quindi non più l'edificio “firmato” dalla star, ma un progetto comune al servizio della socialità.
Vittorio Colombo
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