La chiusura del Teatro della Società, ossia della più prestigiosa istituzione culturale della città, punto focale delle più importanti iniziative di carattere sociale e spettacolare, è un fatto che rattrista e nello stesso tempo allarma, considerando anche che al momento non si è in grado di stabilire quando verrà riaperto dopo gli improcrastinabili interventi strutturali.
Riandare alle vicende di questo edificio, tangibile testimonianza della crescita civile e culturale di un piccolo borgo lacustre che si avviava a diventar città, secondo la profezia manzoniana, significa ripercorrere una storia ricca di avvenimenti, di personaggi che l’hanno illustrata, di intraprendenza e, non da ultimo, di tenace volontà da parte degli amministratori comunali che hanno perseguito con incrollabile determinazione la strada del recupero e della valorizzazione del nostro Teatro. Fra questi amministratori non si possono dimenticare due Sindaci, l’avvocato Angelo Bonaiti e il dottor Alessandro Rusconi che, superando difficoltà assai gravose riuscirono a riscattare il Sociale acquisendo la proprietà dalla società dei palchettisti, a restaurarlo con encomiabile cura filologica e a restituirlo alla città.
Fu nell’Ottocento un gruppo di illuminati cittadini, capeggiati dall’avvocato Lorenzo Agliati, a promuovere l’erezione di un Teatro, affidandone la progettazione al concittadino Giuseppe Bovara, esponente di rilievo del neoclassicismo lombardo. Fu scelta un’area allora periferica, ma strategica perché destinata a diventare il centro della futura città che si stava espandendo nella direzione del ponte sull’Adda. E nel 1844 il Teatro si aprì la prima volta con un’opera lirica, l’Anna Bolena di Donizetti. Per tutto l’Ottocento e i primi decenni del Novecento il Sociale di Lecco ospitò concerti, convegni, comizi, spettacoli di prosa affidati ai più grandi interpreti del teatro italiano, da Ermete Novelli a Ermete Zacconi, da Emma Gramatica a Maria Melato. E grazie al Ghislanzoni, illustre concittadino, il librettista dell’Aida verdiana, che a Maggianico richiamava i più bei nomi della Scapigliatura milanese, il Teatro ospitò opere liriche di importanti compositori, come Ponchielli e Petrella. Qui fu rappresentata per la prima volta l’opera lirica “I Promessi Sposi” del Petrella che ebbe vasta eco sulla stampa nazionale.
Ma la gloriosa storia del nostro Teatro sembrava interrompersi nel 1951, quando fu dichiarato inagibile e, sembra incredibile, nel piano regolatore di quegli anni se ne prevedeva la demolizione. Fu grazie a un comitato di cittadini guidati da Giacomo De Santis e alle campagne di stampa sui giornali locali che l’Amministrazione Comunale si decise a farsi carico dell’acquisizione e del restauro di questo edificio che rappresenta senza dubbio una delle più nobili emergenze architettoniche della città. E il 2 novembre 1969 il vecchio edificio del Bovara riaprì i battenti con un felicissimo allestimento a cura dello Stabile di Genova: “Una delle ultime sere di carnovale” di Carlo Goldoni. Furono anni di intensa attività, con stagioni di prosa di altissimo livello, opere liriche, operette, concerti, congressi politici; il Teatro era tornato a essere un imprescindibile punto di riferimento per la città e il territorio.
Ma negli anni’90 l’attività fu sospesa e il Teatro rimase chiuso per consentire improrogabili interventi alla struttura. Per un anno e mezzo la città rimase nuovamente priva di questa prestigiosa e storica sala. Sembra dunque aleggiare un influsso nefasto sul Teatro della Società che per la terza volta chiuderà i battenti; ma soprattutto impensierisce il fatto che non si conosce per quanto tempo rimarrà inagibile. E’ un’assenza che peserà negativamente sulla vita culturale della nostra città, una interruzione forse indispensabile considerando che non si possono trascurare le misure di sicurezza di una struttura che ospita centinaia di spettatori.
Non siamo in grado di giudicare se questa della chiusura a tempo indeterminato sia l’unica soluzione possibile. Potremo valutarlo quando si conoscerà l’entità dei lavori da condurre a termine. Resta l’amarezza nel constatare che per l’ennesima volta la nostra città non potrà contare su uno spazio indispensabile per la vita artistica e culturale della collettività lecchese.
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