Povera scuola orfana di politica

Leggo sul nostro quotidiano che a settembre l’avvio dell’anno scolastico sarà orfano di duecento docenti. Chiamo in redazione per segnalare l’errore. Uno zero di troppo, dico, saranno venti. Mi sento rispondere se sto scherzando o provocando, mi aggiungono il carico di 190 posti scoperti da impiegati, tecnici, bidelli e mi servono su un piatto lo spunto per l’editoriale del lunedì.

Squarciato il velo del dubbio prendo carta e penna (letteralmente) e consegno ai lettori questa nota intrisa di disprezzo, ricordando che con cifre differenti il vulnus si manifesta puntuale ogni settembre, come la vendemmia che almeno alterna stagioni succose ad altre magre.

Se provate poi ad allargare l’orizzonte ad altri campi e categorie (su tutte la piaga della sanità) sarete d’accordo con me nel definire la nostra una Repubblica fondata sui buchi, sul deficit pubblico che per quantificarlo devi avere la laurea in matematica. Eppure a Roma si scannano sul premierato, l’autonomia differenziata, l’abuso d’ufficio, la separazione delle carriere, le sanzioni a Putin e le armi all’Ucraina, dimentichi che un loro figlio o nipote (mi scuso per il familismo sottocute) se ne starà mesi a scuola con le cattedre vuote o occupate da supplenti di passaggio che lasciano la stessa traccia di un taxista. A meno che non sia Alberto Sordi. Credo anch’io che la civiltà di un paese si misuri sulla funzionalità e la qualità della scuola e allora posso dedurre che, quale che sia il governo, ogni obiettivo conclamato e persino in parte centrato, sia un gigante dai piedi d’argilla. La riforma della scuola come quella della sua gemella diversa la sanità è ormai ridotta ad un numero da Bagaglino della serie “La sai l’ultima?” e perciò non illudiamoci che si vada oltre il perimetro dei cerotti.

Ci si contenterebbe di uno standard minimo di efficienza (facciamo come un quarto d’ora di ritardo per i treni?), di un’attesa dei professori per il giorno della Befana. Queste domande retoriche sbucano da ogni lato, e ci fanno dire che la Repubblica delle patate, nel senso dello spirito, subisce lo smacco di trascorrere l’inverno scrutando le facce anonime di supplenti con le valigie in mano, motivati ed espressivi come i conduttori di bus alle prese con la schizofrenica viabilità lecchese. Tre mesi e spiccioli di ferie estive sono un non senso eppure non bastano per allestire un circo decente, stilare graduatorie, ridurre la migrazione di docenti, già messa a dura prova dal viavai della maturità, collaudare palestre e termosifoni, garantire pari livello ed efficacia all’intero ventaglio dei nuovi saperi, autentici o gonfiati dal mercato. Azzardo, con iperbolica consapevolezza che il consenso dei soloni dell’Istruzione, a partire dal collega giornalista, il ministro Sangiuliano con la sua faccia sempre gaia e soddisfatta, somiglia sempre più ai padroni dello sport che ad ogni Olimpiade si inventano nuove discipline, quelle che vedi per un’ora in televisione se c’è in lizza un italiano e passata la festa non ricordi più né il nome dell’atleta né tantomeno della disciplina, tipo il taekwondo, specialità che prevede lo scambio di calci. Anche calci in culo, il capostipite delle giostre.

A quando il tiro alla fune per il quale si stanno già allenando i boscaioli delle valli? A ridosso delle Olimpiadi Milano-Cortina che nel cuore ci stanno, ancora si litiga per la pista di bob che costerebbe oltre 100 milioni per un bacino di praticanti che non arriva a 300 pur giovani e forti. A me spiace in particolare bocciare il prisma sfaccettato della scuola in un territorio nel quale si è rivelata virtuosa l’equazione scuola-lavoro (e con la prospettiva del tema educational), dimostrando che il collaudato e sudato legame tra lo studio e la fabbrica è il più lungimirante e proficuo investimento per il futuro delle giovani generazioni. E poi si pretende che figli, genitori, nonni rispondano alla chiamata delle elezioni? Davanti all’allarme lanciato dal nostro giornale, non credo si troveranno rimedi neppure palliativi, essendo ormai chiarito che la scuola italiana funzionerà solo quando, a proposito di settembre, anche il gelso produrrà uva. Né ci consola il fresco riconoscimento al Politecnico di Milano come università leader in Italia e tra le prime cinquanta in Europa, pensando alla luce riflessa e i benefici riverberi sull’atollo lecchese.

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