È uno scherzo del Rosatellum e delle sue contorsioni. Ma Salvini, ministro dell’Interno e soprattutto segretario nazionale della Lega e basta, è stato eletto al Parlamento in Calabria. Una cosa impensabile nel 1990, anno fatale perché si svolgeva la prima edizione di Pontida e, l’allora diciassettenne Matteo si avvicinava alla Lega Lombarda-Lega Nord, attributo quest’ultimo che quello che allora era uno studente di belle speranze. ha provveduto a eliminare dal nome senza tante balle e senza passare per congressi e assemblee. Perché la Lega, pur dalla pelle mutata, resta sempre il più vecchio partito italiano in circolazione e mantiene le caratteristiche della Prima Repubblica (l’organizzazione ancora capillare quasi come il fu Pci) come della Seconda (il leaderismo con il capo che decide tutto sul modello berlusconiano). Oggi si celebra l’edizione numero 32 di Pontida. La cronologia non è precisa: vi sono stati anni in cui ne è stata organizzata più di una e i tempi grigi per gli ex lumbard in cui il raduno non si fece perché sarebbe stato un triste autodafé.
Questa è una Pontida particolare, è il momento delle celebrazioni, per la conquista dei posti di prima fila in un governo senza l’ombra lunga del Cavaliere davanti, da parte di un movimento che da autonomista, secessionista, federalista e soprattutto nordico, si è trasformato in nazionale, sovranista con quella venatura di populismo che ha sempre tenuto dentro ma che ora ha assunto un’accezione diversa sul modello di coloro che vogliono ribaltare come un calzino l’Europa.
L’altra Lega, quella che vide l’alba di Pontida era invece populista ma europeista. Al vecchio continente guardava l’utopia padana di Umberto Bossi, a un’Europa delle Regioni in cui la Lombardia avrebbe avuto gioco facile a fare la parte della Germania. Questo raccontava, al tempo che fu, il Senatur sul “pratone” bergamasco. Adesso è tutta un’altra cosa. E verrebbe da chiedersi se ha ancora senso Pontida.
L’idea fu partorita da quel grande animale politico che era Bossi prima della grave malattia. Giocando un po’ con la storia come era solito fare nei suoi torrenziali comizi, il Senatur si appropriò del mito del giuramento dei Comuni lombardi pronunciato nel piccolo centro in terra bergamasca con la sua abbazia, davanti al Carroccio per combattere il Barbarossa Federico Imperatore. Il nemico contro cui il capo leghista di allora invitava il su popolo alle armi non arrivava però dal Nord come il teutonico sovrano, bensì dal Sud e si chiamava Roma ladrona che opprimeva la Padania anelante di libertà con i balzelli e le pastette burocratiche. Pontida era l’attesa messianica di un qualcosa che si sarebbe detta, a seconda dei momenti e dalla convenienza tattica, secessione, federalismo, autonomia e devolution. Un sogno cullato a lungo da migliaia di barbari con il brusco risveglio che, paradossalmente, coincise proprio con l’apparente realizzazione onirica: quel federalismo divenuto legge dello Stato, già annacquato con diabolica sapienza tiberina nella capitale e mandato definitivamente al tappeto dalla lunga crisi economica mondiale che non avrebbe più consentito simili lussi. Nel frattempo era giunta la malattia di Bossi, il suo ritorno, avvolto dal venefico cerchio magico, lo scandalo tuttora in parte irrisolto dei finanziamenti pubblici finiti qua e là e chissà dove, il crollo della credibilità elettorale e l’esigenza di mutare ragione sociale come ha intuito Salvini che ha espugnato il partito dopo la breve parentesi catartica di Roberto Maroni e le sue ramazze. Pontida è passata attraverso tutto questo: dalla prima Lega di lotta poi diventata, per un batter d’ali di farfalla, di governo, quindi ancora pugnace e più dura sulla soglia dell’eversione, di nuovo questa volta duratura di governo, quindi smarrita e rivitalizzata come mai avrebbe immaginato dal ragazzone con la barba e la felpa che apparirà sul pratone nella grisaglia ministeriale convertita in blu per ragioni sceniche. Perché Pontida è anche un fatto cromatico. Il verde è sempre stato l’unico colore, quello del pratone, delle magliette, dei fazzoletti e dei gadget. Oggi si cambia: il verde diventa blu, colore del sovranismo della nuova Lega e basta. Verrebbe da dire che ci azzecca ancora Pontida con tutto questo? Oltretutto ora siamo nella Terza Repubblica e il raduno con la sua ritualità è uno dei simboli del passaggio dalla Prima alla Seconda. Tanto che Bettino Craxi arrivò a rincorrere il Senatur, organizzando nell’abbazia attigua al pratone un convegno sul federalismo. E da lì si capì come sarebbe andata a finire. Pontida era l’esercito che si radunava sul fare dell’ estate per preparare le campagne d’autunno, scandite da Bossi in interminabili orazioni ascoltate stoicamente sotto il sole che brucia le teste o sprofondando nel fango che invade l’erba nelle giornate di pioggia.
Da lì partì l’utopia secessionista del 1996, con la Lega galvanizzata da quel 10% alle politiche che rappresentò il miglior risultato pre Salvini e l’annunciò di Bossi dalla marcia sul Po, ideale confine della Padania.
Oggi il leader indicherà gli obiettivi di governo davanti a una folla più oceanica che mai perché anche quando il carro del vincitore è un Carroccio (ma c’è ancora ?) la corsa per salirvi sopra è sempre quella. Chissà se il segretario ministro si ricorderà di fare cenno al referendum autonomista di Lombardia e Veneto che sembra quasi un imbarazzo per la Lega sovranista proiettata alla conquista del centro sud d’Italia. Ma qualcosa non sarà più come prima. Anche se forse, oggi, il nemico da abbattere per la Lega e basta è più simile al germanico Barbarossa delle origini “lumbard”.
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