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Lunedì 29 Aprile 2013
Ponte, la vita in alpeggio
raccontata da un contadino
«Sertore, non Sertori», precisa dicendo di essere parente alla lontana del presidente della Provincia, Massimo Sertori, perché «i nostri bisnonni hanno diversificato i cognomi Sertore e Sertori, anni fa»
«Sertore, non Sertori», precisa dicendo di essere parente alla lontana del presidente della Provincia, Massimo Sertori, perché «i nostri bisnonni hanno diversificato i cognomi Sertore e Sertori, anni fa».
«Dopo la terza media i miei genitori non potevano mandarmi a studiare e così ho iniziato a lavorare - racconta -. Ho fatto lavori diversi di manovalanza, il meccanico, ho lavorato con gli escavatori, ma sono anche un appassionato di musica, ho suonato in nove bande diverse cambiando cinque strumenti. Ho sempre frequentato fin da piccolo l'alpeggio che la mia famiglia aveva a Rhon a 2.200 metri di quota. Ma prima mi occupavo solo di togliere il letame, portare a casa il fieno, falciare l'erba. Poi ad un certo punto, quando mio papà si è ammalato, ho dovuto portare avanti io l'alpeggio, senza sapere nulla. Solo a 30 anni ho cominciato ad avere un contatto anche fisico con le mucche. E mi si è aperto un mondo, una filosofia di vita, direi».
Sertore guarda la foto della vitellina che ha allevato e quasi si commuove. «Vede - spiega -, quando ho avuto a che fare con le mucche e le ho cresciute mi sono trovato ad avere un rapporto con loro come se fossero animali domestici. Come un cane o un gatto. Dico sul serio. Mi seguono al pascolo, mi danno retta, sono animali comunicativi».
Sertore ha così seguito i corsi organizzati da Coldiretti per diventare casaro. Ha imparato a tagliare le unghie alle mucche, a dargli con le mani il sale di cui sono ghiotte. Ha appreso anche le nuove tecnologie legate alla zootecnica, anche se «io sono per la zootecnica tradizionale - precisa - Mungo ancora a mano e l'alimento principale delle mie mucche è il fieno».
Sertore ama chiamarsi «contadino» in senso tondo, non solo allevatore: lavora la terra perché gestisce un frutteto da cui produce 200 quintali di mele all'anno, un vigneto, un campo di patate e l'orto. E poi c'è il lavoro in alpeggio ogni giorno. Governa dieci mucche (6 mucche da latte e 4 giovenche da vitelli) che producono 100-150 quintali di latte l'anno da cui ricava 4-5 quintali di burro e 10-12 quintali di formaggio.
«Per ora il mio lavoro basta per l'autosufficienza - prosegue Sertore circondato in casa dalle fotografie del suo bambino che scorazza in stalla con molto agio come il papà -. La paga è magra, non è facile vivere solo di questo al giorno d'oggi, ma io intendo proseguire».
Si alza alle cinque e mezzo e alle 7 è già in stalla per mungere le mucche. «La giornata prosegue così. Quando sono sui prati ho anche tanto tempo per pensare e mi rendo conto che questa è la vita che intendo fare, che sto bene sui miei monti. Le difficoltà vengono dalla burocrazia molte volte e da tutte le norme che dobbiamo rispettare. Molti alpeggi hanno avuto problemi a seguito delle visite dell'Asl e hanno fermato la produzione. Ma ora anche io sto facendo alcuni interventi per adeguarmi al meglio agli standard dell'Asl». E prosegue: «Ho avuto un problema di salute grave tanto che temevo di non riuscire più a proseguire quest'attività. Sono stato qualche giorno all'ospedale e ho trovato qualcuno che mi sostituisse in stalla, ma se manco io il mio lavoro non va avanti. Chi coltiva il frutteto, può permettersi di fare ferie una settimana, chi si occupa di zootecnica no. Altrimenti chi bada alle mucche?».
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