Novecentoquarantun giorni. Tanti ne sono passati da quel maledetto pomeriggio del 28 ottobre 2016, quando ad Annone venne giù quello che sarebbe stato solo il primo di una serie di ponti crollati sulla nostra dissestata penisola.
Erano le 17.22, quel giorno. Sotto il cavalcavia rimase una vittima, molti altri furono miracolati. Ieri, quasi alla stessa ora, il varo del nuovo ponte. Una lunga campata d’acciaio appoggiata su due spalle di cemento armato, sistemata dopo due giorni di manovre, un po’ d’inconvenienti, magari pure qualche pasticcio. Ma è andata, alla fine, con tutto il corollario di umanità varia che circonda i grandi cantieri, pensionati in bicicletta compresi. E bisogna pur dire bravi a quei tecnici e a quegli operai che il ponte lo stanno montando. Immaginiamo, senza ricevere stipendi d’oro.
Adesso ci vorrà qualche settimana per sistemare il resto, ma fa ben poca differenza quando ci sono già voluti due anni e mezzo abbondanti per rifare un ponte che non è che fosse proprio come quello caduto a Genova. Una bella prova di efficienza del nostro sistema Paese, niente da dire; c’è proprio da fare i complimenti.
La provincia di Lecco, uno dei motori industriali d’Europa, dove - quasi quasi - ogni anno nascono più imprese che bambini, è ridotta ad arrangiarsi con strade e ferrovie ferme agli anni Sessanta. E con ponti chiusi uno dopo l’altro - o chiusi ai mezzi pesanti, quando va bene - con l’effetto domino tipico di un Paese dove si chiude la stalla quando i buoi sono già scappati. Una provincia dove gli imprenditori urlano al cielo, inascoltati. E dove ci sono aziende che hanno dovuto riorganizzare la produzione perché i lavoratori non riuscivano più ad arrivare in tempo in fabbrica, come accade nel Meratese da quando è stato sbarrato da un minuto all’altro lo storico ponte di Paderno (riaperto per adesso solo a pedoni e due ruote).
Arriva un ministro, arriva un sottosegretario, arriva un assessore regionale, fanno la loro passerella e se ne vanno dopo aver distribuito promesse. Poi, tutto resta come prima, sino al prossimo crollo, alla prossima frana.
Ah già, ci hanno pure raccontato che per pensare alla terza corsia da Lecco a Giussano bisognerà aspettare l’autonomia regionale, quando avremo molti più soldi da spendere per le infrastrutture: finalmente padroni a casa nostra. Viene da ridere, ma ridere amaro. Siamo abbastanza vecchi per ricordarci l’ultima, vera, grande opera per Lecco, per il suo territorio e per la Valtellina.
L’attraversamento della città, atteso per mezzo secolo e approvato negli anni Novanta, mentre in Italia i cantieri si bloccavano tutti perché dopo Tangentopoli nessuno aveva più il coraggio di mettere una firma. Allora, val la pena di ricordare alla nuova classe dirigente che quella monumentale opera - altro che un cavalcavia sulla superstrada - venne pensata e di fatto realizzata dagli uomini della tanto vituperata Prima Repubblica. Uomini che avranno spesso approfittato del ricco banchetto della politica, ma che avevano le competenze e gli attributi per farle, le cose. La Seconda Repubblica risulta non pervenuta. Dalla Terza aspettiamo ancora un segnale concreto.
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