Quello che non si riesce a capire, dopo il burrascoso incontro tra Berlusocni e Fini, è per quale motivo una coalizione così forte e così vittoriosa debba andare a un duello interno che potrebbe ridurla in macerie regalando una inaspettata possibilità di resurrezione al centrosinistra. Ci si sarebbe aspettati che all'indomani del successo nelle regionali il centrodestra avesse detto: ci rimbocchiamo le maniche e lavoriamo per il bene di tutti quelli che ci hanno votato. Invece si mette a dibattere di future riforme delle quali non importa nulla a nessuno e poi litiga al punto dal far ritenere possibile una scissione. Neppure la peggiore sinistra è mai stata capace di tanto.
Giovanni Vanetti
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La peggiore sinistra ha fatto scuola, e che scuola, in materia. Bertinotti potrebbe tenere una lunga serie di lezioni. Ma anche D'Alema vanta i suoi titoli di merito. E di Prodi non ci è rimasto, al proposito, il ricordo d'una figura di secondo piano. Vincevano, governavano, litigavano, si sfasciavano. Un esempio assai imitato. Forse è nella natura degl'italiani di volersi far del male quando un tot di bene (un eccessivo tot di bene) gli viene accreditato. E come potrebbe sfuggire a una tale regola il centrodestra, espressione d'una rilevante quota di quel Paese moderato che Berlusconi ereditò dal pentapartito della Prima Repubblica e che l'ex Pci e Pds e i cattolici di sinistra non sono riusciti a tirare dalla propria parte? La ragione dello scontro tra Berlusconi e Fini è Bossi: l'asse creatosi tra il Cavaliere e il Senatùr, e rafforzato dall'ultimo giro elettorale, ha messo ai margini dell'alleanza uno dei due cofondatori del Pdl. Lo si può capire, Fini, quando s'infuria perché gli vien fatta recapitare come a un qualunque peone la bozza di riforma costituzionale licenziata ad Arcore durante i festeggiamenti per i neogovernatori Cota e Zaia. Ma si può capire anche Berlusconi, quando rimprovera all'ex “amico Gianfranco” d'aver aiutato con i suoi continui smarcamenti il dimagrimento del Pdl, ridimensionato d'oltre due milioni di voti il 28 marzo scorso. Come finirà? L'ipotesi di Fini di creare un suo gruppo autonomo alla Camera e al Senato è ad alto rischio di dissolvimento del gruppo medesimo nel caso si andasse ad elezioni anticipate. Quanti saranno davvero disposti a seguirlo? E quanti invece non seguiranno Berlusconi, che carezza non dall'altro ieri l'eventualità d'un ritorno alle urne perché sicuro di venirne premiato? Tra la fedeltà a un'idea e la fedeltà a una poltrona, non c'è dubbio su che prevarrebbe la fedeltà all'idea di poltrona.
Max Lodi
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