Pochi giorni fa è morto un politico di primo piano che troppi ricorderanno anche a distanza di tempo per la frase sui «giovani bamboccioni». Io credo che vada ricordato invece soprattutto per un'altra, più scomoda e rivoluzionaria. La frase è questa: «Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l'istruzione e l'ambiente». Firmato Tommaso Padoa Schioppa. Concordate?
Paolo Trezzi
Rivoluzionaria e inascoltata. Non messa in pratica dai più, ignorata dal resto degl'italiani. Se tutti pagassero quello che devono pagare, starebbero meglio i tanti che stanno peggio. Padoa Schioppa aveva ragione. Ha ragione. Ebbe torto nell'esprimersi con schietto realismo in un Paese dove il realismo è sconosciuto e gli schietti quasi. Un Paese incapace di apprezzare le idealità, sospettoso verso i sinceri, refrattario a innovare e a rinnovarsi. Un Paese in cui molti pensano che la cosa pubblica sia di tutti, e però a mantenerla non tutti si debbano sentire chiamati. Un Paese d'individualisi ostili al collettivismo, salvo che nelle circostanze in cui serva alla loro individualità. Un Paese diffidente nei confronti di chi gli fa la predica nonostante da prediche autorevoli venga spesso diffidato a smetterla con i suoi allegri (incoscienti) costumi. Padoa Schioppa, chiamato da Prodi a far parte del governo di centrosinistra, subì il dileggio e la strumentalizzazione del centrodestra che, conquistato il potere, propose agl'italiani in altra forma la medesima sostanza di quant'egli aveva teorizzato. Padoa Schioppa non teorizzò alcuna violazione dei diritti civili, non attentò a nessuno dei valori tradizionali appartenenti alla nostra storia, non suggerì l'accantonamento d'ideali alti e nobili. Fece una semplice e pratica considerazione. E quest'esercizio di pragmatismo gli costò la popolarità. La popolarità, ma non la stima. Anche quando parlò di giovani bamboccioni venne frainteso (o lo si volle fraintendere). Non intendeva acccomunare in un giudizio negativo la generazione di coloro che tardano a lasciare la famiglia nell'attesa di trova l'autonomia economica grazie a un dignitoso lavoro. Intendeva spronarli a esplorare ogni possibilità, prima di darsi per vinti. A riscoprire il valore pratico dell'utopia. Perché se non si osa l'impossibile (ammesso che lo si debba osare), anche il possibile diventa di difficile ottenimento. Cioè: le illusioni sono il miglior viatico per affrontare la realtà. Una vecchia lezione che provoca sempre nuove allergie.
Max Lodi
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