Ospedale di Sondrio, «vi porto tutti
sul mio... traghetto»

Riproponiamo sul nostro portale la lettera di una lettrice pubblicata sul quotidiano La Provincia di Sondrio

«Cara Provincia, è stata una felice giornata di primavera a traghettarmi sull’isola delle sofferenze, senza avvisare, e senza che io potessi intravedere l’angoscia che mi attendeva. È cosi che nel lungo tempo trascorso in reparto, ho conosciuto il personale in servizio in medicina ed ematologia dell’ospedale di Sondrio.

Sono i dottori, le dottoresse, le oss, e gli infermieri che hanno accolto con le loro mani tutta la mia disperazione, mesi fa e ancora adesso, in questi giorni di caldo torrido e di festa, dove tutti sono altrove e le arroventate vie della città sono deserte. Ma nel reparto li trovi sempre, giorno e notte indaffarati, instancabili, e con i minuti contati ti danno del tu come fossi un figlio. C’erano ai tempi del covid e ci sono ancora, se ci fossimo dimenticati, anche per le malattie bruttissime come la mia, e vivono ogni tuo dolore, lo trasformano in una indagine, in qualcosa che possa stimolare il tuo appetito o un tenero pensiero come quello delle tue pulizie, come vorresti ma non puoi più, mentre chiudono la porta ed affrontano le tue paure, la tua intimità e le tue notti insonni, le tue speranze di riuscire un giorno a rivedere i colori delle montagne fuori da quella finestra.

È l’ospedale di Sondrio, dove leggiamo spesso cieche polemiche insensibili alle condizioni e le risorse con le quali convivono e lottano queste persone che sanno ancora fare la differenza. Siamo tutti consapevoli che può succedere, speriamo di no ma poi succede, e i miei giorni sono entrati in quella stanza, per la prima volta nella mia vita, per scoprire cose che non sapevo e la spietata verità della malattia. E se sono tornata a casa è grazie a tutti loro, dal primo all’ultimo, sono con me tutti i giorni, mentre mi porgono qualcosa di buono che non riesco a mangiare per sopire l’interminabile sofferenza, oppure passano per la millesima volta dal corridoio dedicandoti due parole di conforto.

È cosi che duramente sto risalendo la china, pensando che forse ce la faccio, che loro ce l’hanno messa tutta e io non posso mollare. Ma lo voglio scrivere qui, perché non siamo tutti uguali, e ci vorrebbe molto più di un semplice grazie. Ma il mio viene dal cuore...dove vi porto tutti, ogni giorno in cui salgo sul traghetto della sofferenza».

Monica

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