Cronaca / Morbegno e bassa valle
Domenica 08 Ottobre 2017
«Oggi siamo tutti naufraghi»
A Morbegno l’economista e filosofo teorico della decrescita, Serge Latouche
«La montagna può essere laboratorio per chi sceglie di cambiare»
Latouche a Morbegno, una scuola della decrescita, corrente di pensiero favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi per ristabilire relazioni di equilibrio tra uomo e natura, che troverà la propria sede in Valtellina.
La sezione lombarda dell’associazione della Decrescita, centro studi nazionale, che avrà la propria sede in Valle. Insieme a Serge Latouche, il filosofo ed economista francese che ha tenuto una conferenza mercoledì a Morbegno arrivano tanti spunti a ravvivare lo scenario culturale, economico, del lavoro provinciale.
Latouche ha catturato l’attenzione di tanti, erano centinaia tra il pubblico a seguire all’auditorium Sant’Antonio a Morbegno ogni sua parola. C’erano giovani, esponenti delle cooperative e delle onlus della provincia, non mancavano i sindacalisti, i rappresentanti del mondo solidale oltre a giornalisti arrivati da tutta la Lombardia. C’era Fausto Gusmeroli, presidente dell’associazione Valtellina nel Futuro, organizzatori insieme a Comune di Morbegno e rete Natura sì della giornata.
Il teorico della decrescita portava una nuova edizione del suo saggio, Il “Pianeta dei naufraghi”, naufraghi dello sviluppo, della globalizzazione. «Testo che esprime un’idea ancora attuale e che si amplia nei contenuti. La prima trattazione che era stata pubblicata nel 1992 – ha affermato – definiva “naufraghi”, naufraghi dello sviluppo, i popoli alle periferie del mondo, oggi credo – ha affermato – che siamo tutti “naufraghi”».
«Il titolo naufraghi – ha aggiunto – fa pensare all’attualità, ai profughi, ai migranti che cercano approdo sulle nostre coste. Ma il naufragio di cui parlavo e parlo è una metafora della crisi dei nostri sistemi economici. Se nel 1992 era il consumo a mietere vittime e a sfasciare i mondi, oggi dobbiamo portare l’attenzione sulla globalizzazione». La globalizzazione viene identificata come «l’ultimo capitolo di un processo espansivo distruttivo». Quello occidentale, della «crescita per la crescita», che unifica tutto sotto le “bandiere del consumo”.
«Senza pensare che ormai – ha chiarito il docente universitario e antropologo – sul nostro pianeta da consumare non c’è più niente e mentre si cercava di sfruttare gli ultimi mercati, sono state annientate civiltà e “differenze”». Latouche a Morbegno ha parlato dell’Africa, dei Paesi «esclusi dallo sviluppo», per i quali non è utile in fondo nemmeno il nostro aiuto. «Che è solo un business ulteriore: l’aiuto, l’assistenza tecnica vengono calati in continenti nei quali l’Occidente ha già distrutto il senso della vita colonizzando oltre le economia l’immaginario». La globalizzazione arriva a dare il colpo finale. «Oggi – ha chiarito Latouche – viviamo più tragedie, i popoli indigenti fuggono dalle loro terre che si stanno desertificando, dalle guerre, gli abbiamo fatto pensare che se loro vivono all’inferno, qui, dove siamo noi c’è il paradiso, ma non è vero. La globalizzazione genera crisi ovunque e noi oggi viviamo affacciati sul baratro in un mondo che è al collasso».
Analisi spietata, focus sulle soluzioni. «Se – ha spiegato l’illustre ospite a Morbegno – la crescita ci porta al collasso, distrugge il pianeta, l’ecosistema, preda la natura, noi dobbiamo cambiare passo. Scegliere di creare una società sostenibile e resiliente, che sappia convivere con quanto è danneggiato, ricreando equilibri e armonie». È la decrescita la via di uscita secondo Serge Latouche. «A questa corrente di pensiero – ha precisato il filosofo alll’auditorium – hanno contribuito anche gli intellettuali italiani, penso a Pier Paolo Pasolini, Tiziano Terzani, la madre dell’ecologismo italiano Laura Conti. Hanno valore anche gli scritti di Enrico Berlinguer sull’austerità, austerità che può essere uno strumento rivoluzionario». Dunque gli italiani possono misurarsi con la decrescita anche consultando questi apripista delle teorie sulla sostenibilità moderna. «Prima però – ha spiegato Serge Latouche – bisogna scegliere di cambiare. Mangiare meglio, consumare meno, fare “digiuni tecnologici”, buttare via la televisione. La montagna può essere un laboratorio adatto a sperimentare nuove forme di consumo, ma deve preservare il proprio territorio, i terrazzamenti, avere cura dell’ambiente».
Importanti gli annunci della apertura di una sede lombarda in Valtellina per l’associazione della Decrescita. E di una scuola dedicata a queste tematiche: «Viviamo in un’epoca in cui emergenze e disastri ambientali, economici, politici e sociali sono divenuti paesaggio quotidiano – affermano i dirigenti di questa organizzazione –. L’ideologia della crescita capitalistica non riconoscendo limiti ambientali e sociali, alla cooperazione e alla solidarietà ha sostituito la competizione e la sopraffazione. L’illusione dello sviluppo illimitato minaccia oggi le basi stesse della convivenza e dell’esistenza. La prospettiva della decrescita muove dal riconoscimento profondo delle relazioni e dei vincoli che presiedono alla rigenerazione del vivente. Cambiare rotta e prevenire ulteriori disastri o svolte autoritarie è possibile, ma implica un cambiamento culturale ed una presa di coscienza profonda e di portata globale un vero e proprio passaggio di civiltà. Il nostro lavoro vuole essere luogo di dibattito aperto per favorire una cultura della decrescita e l’istituzione collettiva di nuovi significati sociali».
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