sono una dei tanti italiani a cui questa “perenne estate” comunica un senso destabilizzante di spaesamento, di perdita di riferimenti non soltanto meteorologici, ma anche psicologici.
I profondi mutamenti climatici cui stiamo assistendo negli ultimi anni, in maniera sempre più rapida e inquietante, portano infatti un senso di malinconia, quasi come se insieme alle stagioni se ne andasse una parte del vissuto, della nostra memoria di gioventù.
Una volta, in ottobre arrivavano le brume autunnali, si usciva in cerca di funghi e castagne, le piogge gonfiavano fiumi e laghi e la terra si preparava al gelo dell'inverno.
Oggi anche le giornate sembrano globalizzate, nei giardini sono rifiorite le primule e le camelie, i laghi sono ai minimi storici di secca, l'agricoltura soffre e gli animali ritardano il letargo.
Ma ciò che più ferisce è l'indifferenza di gran parte della gente verso il problema, visto come una stranezza in più in questo mondo già stravagante e superficiale. Pochi pensano di fare qualche passo in più a piedi e a lasciare a casa la macchina, di consumare un po' meno energia, di rispettare la natura invece di distruggerla con sistematicità.
Rita Alfonsi
Lecco
Cara signora Alfonsi,
nemmeno i più scaltriti meteorologi sanno spiegare con esattezza il perché ormai ci siano 35 gradi in aprile e 18 in luglio, piogge brevi e torrenziali e lunghi periodi di siccità.
La colpa, si dice, è del riscaldamento globale del pianeta, ma le cause vere nessuno le conosce, così le ipotesi più accreditate parlano di deforestazione e inquinamento, effetto serra, deviazione dei grandi corsi d'acqua e conseguente sfruttamento per produrre energia. Tutte colpe, insomma, del genere umano, specie per certi versi sicuramente parassita.
Per guarire dalla malinconia dovuta alle stagioni scomparse, non resta che pensare che sia la stessa natura, invece, a voler cambiare e a giocarci uno scherzetto dopo millenni di abitudini inveterate.
Vittorio Colombo
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