che nostalgia nel leggere la storia di Nereo Rocco, detto “il Paròn”, raccontata a cent'anni dalla nascita da Gabriele Moroni in un bel libro “in bianco e nero“. Nostalgia di un calcio pulito, fatto di uomini semplici e veri: Giovanni “baslèta” Lodetti, che macinava centinaia di chilometri da un lato all'altro del campo, di “Anguilla” Anquilletti, terzinaccio che si attaccava alle caviglie, o del “ragno nero” Cudicini, che Rocco riscoprì dopo l'esilio in provincia. Un Milan stellare quello del “paròn”, capace dopo un'abbuffata al ristorante dell'”Assassino” di fregarsene dell'allenamento, e pure di dare consigli paterni al “mona” di turno, si chiamasse Maldini o Rivera
Un uomo del popolo, Rocco, capace di parlare ai suoi ragazzi in maniera semplice e schietta, senza fronzoli, a volte anche in maniera rude, ma mai dispotica o sopra le righe.
Accusato per anni di sapersi soltanto difendere - il suo “catenaccio” fece scuola - in realtà il grande triestino giocò anche con quattro punte, vincendo tutto ciò che c'era da vincere. Una specie di “burbero benefico” capace di plasmare il gruppo a sua immagine, con i “senatori” allenatori in campo a svezzare i “bocia” che Rocco mandava a volte a sorpresa in mezzo alla mischia. Un uomo come lui non poteva rimanere dopo la “fatal Verona” del 5-3 all'ultima di campionato del 1973, quando il Milan vincitore della Coppa delle Coppe, regalò lo scudetto alla Juventus.
Carlo Indelli
Lecco
Caro Indelli,
Rocco fu il capostipite dei grandi allenatori friulani del nostro calcio, da Enzo Bearzot a Fabio Capello, personaggi scolpiti nel legno di quercia, tutti di un pezzo, intransigenti con i giocatori ma di grande umanità e simpatia fuori dal campo. Anche chi non è appassionato di calcio ricorda con emozione le formidabili sfide, anche dialettiche, tra il “paròn” e “mister HH” Helenio Herrera, il dualismo Rivera-Mazzola, il podista Lodetti i baffetti di Lo Bello. Un'altra Italia, a misura di radiolina e Totocalcio, parente stretta di quella di Bartali e Coppi.
Vittorio Colombo
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