Il bello dei luoghi comuni è che sono veri. Com’è che si dice? Politici incapaci, politici inetti, politici traffichini e truffaldini, politici pinocchi, arrivisti, carrieristi, ballisti, menefreghisti e bla bla bla… E tutti lì a dire che, insomma, basta con questa demagogia, con questo populismo, con questo qualunquismo, estremismo e provincialismo, perché non è vero che sono tutti uguali e bisogna distinguere e bisogna dividere e bisogna apprezzare, valutare e argomentare, dando finalmente un taglio alla macchina del fango e alle critiche un tanto al chilo. E in effetti dovrebbe essere così. E tu ci provi a pensarla in questo modo, cioè che qualcuno di buono lo si dovrà pur tirare fuori dal mazzo, qualcuno di diverso, di speciale, o almeno di serio e competente, uno che abbia studiato, che conosca l’italiano, che sappia di cosa sta parlando e faccia seguire i fatti alle parole, i cantieri ai progetti, le conseguenze alle premesse.
E invece no. Perché, alla fine, memorabile pedagogia, hanno ragione quelli del bar dello sport, gli ubriaconi della fiaschetteria, i molesti da bancone, perché nulla cambia e nessuno è in grado o ha intenzione di cambiare. Prendete un tema a caso: le paratie. Questi qui hanno esaurito da tempo il senso della vergogna, più passano gli anni e più sprofondano nel mare di guano che hanno prima creato e poi alimentato e nel quale hanno fatto sguazzare tutta la città fino a trasformarlo da scandalo locale a scandalo regionale a scandalo nazionale e infine – complimenti! – a scandalo internazionale, coprendo di ridicolo una delle tre o quattro città italiane famose in tutto il mondo.
E almeno se ne stessero zitti e si nascondessero in qualche anfratto della Ticosa, le mirabolanti giunte Formigoni e Bruni, prima, e le psichedeliche giunte Maroni e Lucini, dopo. Prima ideatrici e autrici dello scempio del lungolago più bello d’Italia e, poi, inette risanatrici dei disastri creati dagli altri. Il consiglio, scusate la reiterazione ma questi proprio non ci sentono, è sempre lo stesso: scavare una buca, sprofondarci dentro, coprirla a badilate e aspettare almeno un ventennio prima di farsi vedere di nuovo in giro. E invece no. Pontificano. Discettano. Dissertano. E ti fanno la spiega, ti fanno la lezione, la morale, il sermoncino perché loro stanno lavorando alacremente e sono tutti coesi, adesi e protesi verso la soluzione del problema. E poi che sia chiaro che è colpa della Regione, caro lei, e invece è tutta colpa del Comune, signora mia, ed è un pasticcio fatto da quelli là ed è un guazzabuglio creato ad arte da quelli lì e la destra non c’entra e la sinistra non c’entra e, manco a dirlo, neppure il centro c’entra. Paratie figlie di nessuno. E voi, con quel giornalaccio, piantatela con questa demagogia delle cartoline al ministero: che mancanza di gusto, di finezza, di sensibilità. Chi pensate di essere? Siamo noi i cervelloni, gli antropologicamente superiori che tutto sanno, tutto fanno e tutto decidono.
Tutto vero. Pensano di aver ragione. E ci prendono in giro, come sempre, come al solito. Il nostro giornale – nel vuoto pneumatico di una politica e di una amministrazione locale e regionale ridicola, se non fosse tragica - ha organizzato nella scorsa primavera una campagna mediatica che non ha precedenti sul territorio e che ha avuto la forza di portare il problema ovunque, fino dentro il cuore del governo Renzi. Un’iniziativa grazie alla quale abbiamo smosso la passione, l’indignazione e il cuore di decine di migliaia di comaschi, una spinta collettiva e condivisa di un’intera comunità raccolta attorno al suo quotidiano che ha spinto il governo centrale – non certo il Comune di Como o la Regione Lombardia, figurarsi… – a fare alcuni passi propedeutici alla svolta per la ripresa dei cantieri. Tre mesi fa – cento giorni giusti giusti – abbiamo consegnato le nostre sessantamila cartoline firmate al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti e per tre mesi abbiamo dovuto subire da Palazzo Cernezzi e Pirellone – lo Stato è fuori da questa partita, se non come coordinatore del tavolo dei lavori – l’ennesima dimostrazione di insipienza e immobilismo, condita dall’acquerugiola della sicumera di classi dirigenti inette, incapaci e arroganti che nulla hanno fatto e nulla sono capaci di fare. E che in cento giorni niente hanno combinato, manco la nomina del responsabile dei lavori, se non beccarsi tra loro come i capponi di Renzo.
Siamo nelle mani di Lucini e di Maroni, questo è il dramma. Siamo nelle mani di questi qui. E prima siamo stati nelle mani, pure peggiori, di Formigoni e di Bruni e del loro codazzo di statisti circensi il cui unico obiettivo ontologico era quello di mettere le mani, in un modo o nell’altro - ad esempio con il finanziamento di un progetto per delle inutilissime paratie - sui soldi della legge Valtellina. E ora eccoci qua. Complimenti a tutti.
Ma questa non ve la facciamo passare. “La Provincia” sarà il vostro tormento. Il vostro incubo. Vi inseguiremo ovunque, visiteremo le vostre notti come fantasmi scespiriani fino a quando questo schifo verrà smosso e gettato nel secchio dei rifiuti della mala amministrazione. Una promessa è una promessa. Destra e sinistra, i tenutari delle alleanze che hanno combinato questo disastro e i loro eredi spirituali sono avvisati: non si permettano di affrontare la prossima campagna elettorale senza aver risolto questa faccenda e pensando di prenderci ancora una volta per i fondelli. Saremo i portavoce dei comaschi - non ne hanno altri - e li informeremo giorno dopo giorno degli atti e dei silenzi di chi dovrebbe guidarli. E non mancheremo di ricordare loro di tenere bene a mente questa vergogna quando andranno a votare e di farla pesare come un macigno nel segreto dell’urna. È quello il posto giusto dove si saldano i conti con chi ha distrutto la città e con chi non è stato neanche lontanamente capace di farla rinascere. Guardatevi dall’ira dei miti.
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