Molteno: Sandrigarden
La rabbia dei lavoratori

E' vuota è la fabbrica della Sandrigarden di Molteno. L'azienda ha deciso di cessare l'attività. Tra un mese o poco più, la Sandrigarden, come azienda produttiva, non ci sarà. Giorno e notte dipententi presidiano i cancelli.

MOLTENO - E' vuota è la fabbrica della Sandrigarden di Molteno. L'azienda ha deciso di cessare l'attività. Tra un mese o poco più, la Sandrigarden, come azienda produttiva, non ci sarà.

Perderanno il posto cento persone, solo una trentina delle quali ha davanti la prospettiva della pensione: due anni di cassa straordinaria, poi la mobilità. E gli altri? «Cercheranno di trovare qualcosa - dice un lavoratore licenziando - ma con la crisi sarà dura. A me manca poco più di un anno alla pensione. Diciamo che me la caverò».

In attesa dell'incontro di lunedì 29 aprile in Confindustria Lecco, che avvierà il confronto sul percorso di cassa integrazione straordinaria (martedì 30 aprile è previsto un passaggio in Provincia, poi bisognerà andare al ministero del Lavoro), i dipendenti della Sandrigarden presidiano i cancelli. Stanno lì giorno e notte. Ad una parete della portineria sono appesi tre fogli A4 con i turni: cinque-sei persone ogni quattro ore.

Ai cancelli le bandiere biancoverdi della Fim-Cisl e quelle rosse della Fiom-Cgil: ne abbiamo contate ventidue. «Non vogliamo che dalla fabbrica esca niente - dice un lavoratore che, come gli altri, preferisce non avere il nome sul giornale - ci sono tanti motori di tagliaerba pronti alla consegna, non li facciamo uscire. Abbiamo bloccato una ventina di camion. Oggi non è arrivato nessuno, forse li hanno avvisati. Questo - continua il lavoratore - è l'unico modo che abbiamo per salvaguardare i nostri diritti. Ci restano quelli: il lavoro ormai non c'è». Rassegnati? «Cosa dobbiamo fare? Il titolare ha detto basta e ha già avanzato richiesta di cassa integrazione. Non si torna indietro. E pensare che fino a venerdì scorso continuavamo a trattare sugli ammortizzatori sociali. L'azienda ci aveva prospettato un percorso: contratto di solidarietà fino a dicembre. Poi, con il nuovo anno, la riorganizzazione con una cinquantina di esuberi. Si discuteva su un progetto di questo tipo. Lunedì la mazzata: l'azienda chiude. Non si fa così, ci sentiamo trattati come fazzoletti usa e getta. Non c'è stata chiarezza e neanche lealtà».

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