Interessa l’articolo? Il Pd ha (forse) un nuovo aspirante segretario. Si tratta di Marco Minniti, ministro dell’Interno nel governo Gentiloni. Stando ai pissi pissi, l’ex inquilino del Viminale sarebbe la mossa di Matteo Renzi per sconfiggere Nicola Zingaretti, presidente del Lazio, fratello del commissario Montalbano e grande favorito alle primarie. Insomma, siamo alle solite. Il principale partito di opposizione continua a essere condizionato dall’ex sindaco di Firenze (scusate l’abuso della preposizione ma qui c’è tanta gente con un grande futuro dietro alle spalle).
Non ci sarebbe niente di male se l’ex (e dagli) presidente del Consiglio volesse riprendere la guida del partito di cui è stato segretario. Il ragazzo ha carattere, piglio, passione e qualità politiche di prim’ordine. E non gli mancano quella sicumera e arroganza che tornano utili quando si devono combattere battaglie politiche all’ultimo sangue, anche per contendersi la guida di un partito piuttosto esangue.
O mamma: si voleva tracciare il ritratto di Renzi e invece dalla tastiera del pc è uscito quello di Massimo D’Alema. Non trovate che le caratteristiche dei due hanno finito per sovrapporsi?
Sarà per quello che non si sono mai sopportati. Troppo simili e perciò costretti a buttar fuor dalla scena il rivale. Ci è riuscito il giovane Matteo, di fronte a un avversario logorato dai tanti errori commessi nella lunga carriera politica. È stata dura intendiamoci, ma, alla fine, D’Alema è diventato il simbolo per antonomasia dei rottamati del nuovo corso inaugurato nel Pd da Renzi. E comunque, al contrario di altri tipo Walter Veltroni, ha opposto resistenza fino all’ultimo e continuato a combattere la sua battaglia dentro il Pd e poi fuori, nella fila di quell’Armata Brancaleone di Leu. Renzi, adesso però, forse senza rendersene conto, rischia di rappresentare la nemesi dell’ingombrante predecessore. il ragazzo venuto dalla Leopolda di errori ne ha commessi meno. Anche perché non ha sulle spalle la lunga militanza del “leader Maximo”. Lo sbaglio iù grosso, però, è stato quello di non uscire di scena quando era il momento, cioè dopo il rovinoso esito del referendum sulle riforme che ha segnato il crinale della storia politica recente di questo Paese. Da lì è cominciato il percorso che ha portato all’esito delle elezioni di primavera e al governo gialloverde. E anche qui una parte di responsabilità, forse non del tutto negativa vista dalla parte del Pd, ce l’ha Renzi che bloccò l’intesa tra i 5CinqueStelle e il suo partito e aprì la strada all’accordo tra Di Maio e Salvini.
Adesso l’errore che il secondo Matteo più importante della politica italiana commise dopo il referendum gli si sta rivoltando contro. Se si fosse fatto da parte allora, lasciando il partito libero di cercare un altro leader e una nuova linea politica, forse ora potrebbe ritornare ricco e vendicativo come il Conte di Montecristo. Invece l’ex (e ridagli) “enfant prodige” è solo vendicativo e livoroso. Proprio come il D’Alema quando si trovava a dover digerire un rovescio dovuto all’eccesso di fiducia in se stessa.
Insomma così facendo Renzi rischia davvero di diventare uguale a colui che identificava nell’emblema di una politica sbagliata e superata. E il fatto che, mandi avanti qualcun altro come faceva Massimo quando non poteva metterci la faccia, e che intenda sostenere Minniti, persona di tempra e valore indiscutibili forgiati alla vecchia scuola del Pci, ma anche uomo a lungo vicino a D’Alema (fu uno dei Lothar di Massimo ai tempi della presidenza del Consiglio), può davvero rappresentare la chiusura del cerchio.
@angelini_f
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