Quante volte a Lecco si è usata a sproposito la parola “evento”? Eppure non c’è termine più adatto per definire l’incontro di sabato 24 ottobre con Luis Sepúlveda nel nostro esauritissimo Teatro della Società. Mai come questa volta, si è avvertita la straordinarietà di un incontro con uno scrittore e un personaggio che tutto il pubblico ha sentito immediatamente suo. Introdotto da uno splendido “corto”, fatto da un sedicenne lecchese, coetaneo ideale del primo Sepúlveda scrittore “piccante” di “Una notte pazza della Professoressa Camacho”, condotto da un intervistatore stimolante, ma mai invadente, lo scrittore cileno si è raccontato con un italiano in cui qualche tocco di spagnolo ha conferito la giusta nota di accattivante esotismo.
Una conversazione di reciproco trasporto che si è diffuso dal palco alla sala e dalla sala al palco. Avevamo lì, tutto per noi, un Manzoni redivivo ed esuberante, disposto a farci sentire in diretta il suo fascino e la sua grandezza. E qui forse va spiegato anche ai manzoniani più scettici, perché premiare Sepúlveda è stata un’intuizione geniale. Due scrittori che hanno fatto della libertà, della solidarietà, della giustizia un motivo di fondo della loro opera. Un amore condiviso per la diversità e in particolare per il mondo degli umili. In Sepúlveda, la richiesta al vecchio Hans, panettiere di Amburgo, costretto a ritirarsi dopo 50 anni di pane sfornato ogni giorno, del suo tavolo da lavoro, ancora “sporco” di pane, intriso della sua fragranza, per trasformarlo nel proprio tavolo da lavoro, nasce dalla passione per la realtà. Perché per scrivere bene bisogna avere il costante stimolo di un profumo che sa di vita e di terra. In un autore che ha visto e subito la violenza della tortura e del carcere, non è difficile individuare le radici dell’empatia con lo scrittore della “Colonna infame”.
Ma la sorpresa più grande è stata la conoscenza diretta di Sepúlveda per “Los Novios” , risalente addirittura agli anni dell’ Instituto Nacional di Santiago, quando un vecchio e amato professore aveva detto: “Manzoni è colui che ha rivoluzionato la tradizione della letteratura italiana e in parte europea, dando inizio alla modernità”. Non solo i Ragni hanno lasciato un segno nel Cile e nelle sue straordinarie montagne, ma anche il nostro Alessandro. Ci voleva “un uomo venuto dalla fine del mondo”, per dirla alla Papa Francesco, per ricordarci quanto vale il nostro Manzoni e come ha operato “per raccontarci la diversità e proiettarci nel futuro”.
Poco più che ventenne, Sepúlveda ha fatto parte della Guardia del corpo, tutta costituita da giovani, del presidente Allende e ha condiviso con lui il sogno di un futuro nuovo per il suo paese. Allende amava il cinema italiano e tra i cinque soli film posseduti c’era “I mostri” di Risi, con un Vittorio Gassman buffamente imitato nel ruolo del boxeur che ripete “so’ contento”. Sepúlveda conosce e ama tanti scrittori, ma Manzoni lo porta nel cuore e da sabato, siamo sicuri, lo assocerà a Lecco e al tributo di stima di un’intera città, fiera di avergli concesso la cittadinanza onoraria.
Anche Manzoni merita la cittadinanza onoraria, come avrebbe meritato che la sua Villa lecchese ricevesse in un “accoppiamento giudizioso” la stessa sorte di rinnovamento della Casa milanese da poco restituita al suo fulgore. Forse, per ridare a Manzoni il ruolo che gli compete, per renderlo tesoro di valori e risorse per Lecco, ci vorrebbe una “guardia del corpo”, rigorosamente fatta di giovani come quella sepulvediana, capace di difenderlo e sostenerlo. Non è il nostro Alessandro, come simpaticamente ha detto Sepúlveda, uno scrittore di “rompimento”, ma di rottura, così dirompente da poter trasformare una città a volte un po’ pigra, in un centro di cultura nazionale e internazionale.
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