Manovra, le battaglie e la realtà dei numeri

«Quelli del ministero dell’Economia sono sempre incarichi difficili», scherzava lunedì 25 novembre Giancarlo Giorgetti, arrivando alla Camera per un’audizione. E a ragione.

Toccherà infatti al titolare del ministero dell’Economia, adesso, trovare la quadra delle modifiche e delle coperture della Legge di Bilancio all’indomani del vertice dei leader della maggioranza, evidentemente non risolutivo. Per non dire degli emendamenti e delle richieste dei partiti di opposizione. Trovare maggiori risorse per la Sanità pubblica, valutare i risultati di un’ulteriore proroga del concordato preventivo per rafforzare magari il taglio dell’Irpef, canone Rai da ritoccare all’insù o all’ingiù. Sono soltanto alcuni dei temi su cui i partiti annunciano battaglia. Temi di rilievo diverso, è indubbio, ma sui quali la politica sta alzando i toni, a volte fino all’inverosimile. In parte si tratta di una dinamica fisiologica, perfino salutare se si considera che il ruolo del Parlamento è ormai da anni sempre più sacrificato rispetto agli input che arrivano dagli esecutivi di ogni colore, per non parlare di quelli tecnici. Tuttavia la maggiore difficoltà dell’incarico di Giorgetti, mai come questa volta, consisterà non tanto nell’accontentare ogni singola velleità delle forze politiche, quanto piuttosto nel tenere la barra dritta su un’impostazione forse minimalista ma certo responsabile che l’esecutivo ha voluto dare finora alla Legge di Bilancio.

I numeri aiutano ad assegnare il giusto peso alla discussione ad alto volume di queste ore. La manovra, complessivamente, “muove” circa 30 miliardi di euro all’interno del bilancio nazionale. Il debito pubblico del nostro Paese tuttavia è 100 volte più grande, sfiora ormai i 3.000 miliardi di euro, e restringe lo spazio di manovra di ogni esecutivo non soltanto perché dovrebbe essere progressivamente ridotto, ma anche perché ogni anno costringe lo Stato a sborsare decine di miliardi per pagare i suoi – pardon, nostri - creditori (tra cui, va ricordato ogni volta, ci sono milioni di italiani che investono in titoli di Stato).

A questo proposito, giova anche ricordare alcuni dati pubblicati il 25 novembre da Assiom Forex, l’associazione degli operatori finanziari: l’anno prossimo l’Italia dovrà finanziare tra 100 e 110 miliardi di euro di ulteriori emissioni di debito, al netto dei bond in scadenza, che senza i reinvestimenti dei programmi di acquisto della Banca centrale europea diventano circa 170 miliardi. Di fronte a simili ordini di grandezza, certe querelle tra i partiti assumono una statura infinitesimale.

Cosa dovrebbe fare, dunque, Via XX Settembre? Ricordare, a spron battuto, il contesto nel quale il Paese si muove. I numeri di cui sopra, dunque, assieme al quadro di un’economia europea che rimane la meno dinamica tra quelle globali, con il motore tedesco – dal quale il nostro export dipende – ancora in panne. Oltre a questa continua “operazione verità”, maggioranza ed esecutivo dovrebbero limitare al massimo le schermaglie; potrebbero comunque rivendicare di aver stanziato due terzi dei fondi della Legge di Bilancio per aumentare gli stipendi, tra taglio del cuneo fiscale e limatura Irpef, dei lavoratori con redditi più bassi, così da far rimarginare almeno un po’ le ferite lasciate dall’inflazione.

Le opposizioni, dall’altra parte, potrebbero fare un buon servizio al dibattito dismettendo certi toni apocalittici, considerato anche che oggi si fa ancora fronte a problemi ereditati dal passato (leggi: costo del Superbonus), selezionando alcune richieste di emendamento e dotando le stesse di possibili coperture. Il confronto sulla manovra perderebbe qualche decibel, ma acquisterebbe in chiarezza agli occhi degli elettori che poi liberamente e coscientemente faranno le loro valutazioni.

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