Magistratura Le perplessità sulla riforma

È stato varato dal Consiglio dei ministri il 29 maggio scorso il disegno di legge costituzionale di riforma dell’ordinamento giudiziario, che però sarebbe meglio definire riforma della magistratura in quanto riguarda le carriere di giudici e pm e le funzioni del Csm.

Essa è stata accolta duramente dalle opposizioni e dall’Associazione nazionale magistrati, che la considera «punitiva e una sconfitta per la giustizia», mentre per la premier Giorgia Meloni costituisce una «svolta epocale». Il testo, che «non è blindato», come dichiarato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, è stato trasmesso al Parlamento ove si auspica che ci sia un ampio e leale confronto politico che consenta di apportare alcune necessarie modifiche.

Il disegno di legge prevede la separazione delle carriere di giudici e pm, crea due Csm, uno per i giudici e l’altro per i pm, e istituisce un’Alta Corte, non presieduta dal capo dello Stato, che dovrà giudicare sugli illeciti disciplinari dei magistrati. E soprattutto introduce il criterio del sorteggio in sostituzione dell’elezione sia per i componenti togati che per quelli laici del Csm.

La riforma tratta una materia molto delicata che stravolge anche principi fondamentali della nostra Costituzione. Il procedimento legislativo di approvazione sarà, perciò, molto lungo e contrastato. Ci si chiede, però, se questa riforma sia davvero necessaria e utile ai fini della risoluzione dei problemi della giustizia, che sono soprattutto la sua lentezza e la sua complessità. Perché la riforma, invece di avere come obiettivo quello di rendere più efficiente il funzionamento della giustizia, secondo gli impegni presi per l’attuazione del Pnnr, risponde solo a una logica strettamente politica che è quella di indebolire e condizionare la magistratura.

Ma esaminiamo in dettaglio la nuova normativa. Per quanto riguarda la separazione delle carriere, va premesso che ora tutti i magistrati fanno parte dello stesso ordine giudiziario e sono soggetti alla gestione e sorveglianza dell’unico Consiglio superiore della magistratura. Il disegno prevedeva in una precedente bozza la conferma di un unico Csm ma diviso in due sezioni, uno per i giudici e l’altro per i pm, presieduto dal capo dello Stato. Il testo definitivo prevede, invece, due distinti Csm, entrambi presieduti dal presidente della Repubblica, che, ridimensionati, segnano così il distacco radicale tra gli organi giudicanti e quelli requirenti, secondo l’antico sogno berlusconiano ora rivendicato dai suoi seguaci. I componenti togati saranno nominati mediante sorteggio tra tutti i magistrati (circa novemila), mentre quelli laici pure tramite sorteggio, ma scelti in un elenco ristretto di qualificati giuristi indicati dalle Camere in seduta comune (dunque scelti dai partiti politici). La separazione delle carriere indebolirà anche le tutele dei cittadini, perché il pm, una volta separato e svincolato dalla giurisdizione comune ai giudici, non sarà più il primo garante della legalità, ma diventerà un “superpoliziotto”, di cui non c’è alcun bisogno e che potrebbe in futuro essere attratto sotto il controllo del potere esecutivo.

Inoltre, l’attività disciplinare verrà sottratta ai due Csm e attribuita a un’inedita Alta Corte esterna, non presieduta dal capo dello Stato, e composta da 15 giudici, tre nominati dal presidente della Repubblica, tre estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento, sei giudici e tre pm estratti a sorte tra coloro che hanno almeno vent’anni di esercizio e che abbiano svolto funzioni di legittimità in Cassazione. Non si sa da chi sarà presieduta.

E i ricorsi saranno trattati dalla stessa Corte anche se in composizione diversa. Ma è singolare che sarà giudicata disciplinarmente da una Corte esterna solo la magistratura ordinaria e non anche quella amministrativa e contabile. È evidente il tentativo di condizionare la magistratura anche attraverso l’uso dell’azione disciplinare.

Si spera, comunque, che il Parlamento provvederà a eliminare le molte anomalie sopra indicate e a sciogliere i molti nodi irrisolti di una riforma che avrebbe effetti dirompenti sul sistema giudiziario previsto dalla Costituzione.

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