Magistrati e carriere una riforma politica

L’intervista rilasciata dal ministro della Difesa Guido Crosetto al Corriere della Sera, nella quale si evocava il rischio di un attacco da parte di alcuni settori della magistratura contro il Governo, ha scatenato forti polemiche sia tra le opposizioni che nella magistratura.

Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha replicato, infatti, che «è fuorviante l’idea di una magistratura che possa anche farsi opposizione politico-partitica». Tale giudizio per i magistrati sarebbe gravissimo perché significherebbe accusarli di finalità eversive.

Il viceministro forzista Francesco Paolo Sisto a questo punto ha colto l’occasione per rilanciare anche la riforma della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, ponendola come una priorità, essendo infatti una storica battaglia di principio, voluta Berlusconi ed ora condivisa dal ministro Nordio. E l’accordo sembra essere stato raggiunto in un recente vertice tra la premier Meloni e il guardasigilli Nordio al quale hanno partecipato i responsabili giustizia dei partiti di maggioranza. La bozza prevede carriere separate per i magistrati, con due concorsi diversi per diventare giudici o p.m., con due Csm distinti per essere valutati, entrambi presieduti dal Capo dello Stato, ma con i togati scelti per sorteggio e un’alta Corte esterna per giudicare disciplinarmente tutti i magistrati.

Così, dopo la riforma della giustizia con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, la riduzione della portata del reato di traffico di influenze illecite, i nuovi vincoli sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, la collegialità della decisione sulla custodia cautelare in carcere, nonché il test psicoattitudinale per gli aspiranti magistrati, ora si va completando il disegno politico del governo sulla giustizia con l’avvio di un altro disegno di legge costituzionale che cambierà in modo incisivo il nostro sistema giudiziario e che per l’Anm costituirà «un totale stravolgimento dell’assetto costituzionale». Anche l’Associazione europea dei giudici paventa un «grave attacco all’indipendenza della magistratura», poiché si mina «l’attuale equilibrio di poteri esistenti», in contrasto «con gli standard europei». Il presidente avverte che i pm, sganciati dalla giurisdizione «inevitabilmente sarebbero attratti nella sfera di influenza del potere esecutivo», aggiungendo che «si rischia di affondare un sistema che ha permesso di combattere fenomeni come la mafia e di debellare altri come il terrorismo». Si vuole imitare il sistema anglosassone, ma l’Italia non ha i pesi e contrappesi politici di quel mondo.

Sarebbe questa la risposta della politica alle inchieste giudiziarie in corso riguardanti alcune Regioni, che hanno evidenziato l’intreccio tra affari e politica se non addirittura la subalternità della politica alle grandi imprese? A distanza di 30 anni si ritorna a parlare di una nuova Tangentopoli, orientata però più alla ricerca di voti, di consensi e di poltrone che al finanziamento illecito personale o di partiti. Ricordiamo che, a parte i profili penali, secondo la Costituzione (art. 54 -2° comma) “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. La politica si lamenta di una presunta giustizia ad orologeria, dimenticando però che la giustizia ha i suoi tempi tecnici e che nel nostro Paese si è quasi sempre in campagna elettorale. Se si vuole, poi, sorteggiare i magistrati da assegnare al Csm, ci si chiede perché non usare lo stesso metodo per designare i componenti laici da scegliere in Parlamento. È singolare pure far giudicare solo i magistrati disciplinarmente da una Corte esterna e non anche gli iscritti agli albi degli avvocati, dei medici, degli ingegneri e delle altre categorie di liberi professionisti.

La verità è che questa riforma viene fatta solo per motivi politici e non certo per risolvere quello che è il principale problema della giustizia, cioè il suo cattivo funzionamento, dovuto alla mancata copertura degli organici e semplificazione delle procedure, e sul quale la riforma costituzionale non incide in alcun modo.

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