Papa Francesco è stato una manna per la stampa conformista. Cosa di meglio, dopo i ruvidi, intellettuali papati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, uno così polacco, l’altro così tedesco, entrambi così innervati dentro la polpa, il sangue e i demoni del Novecento, il secolo più grandioso e terribile della storia dell’umanità, di un successore di Pietro che arrivasse finalmente da fuori?
Ve la ricordate tutta la retorica sul Papa argentino, sudamericano, mondialista, terzomondista, cheguevarista, sindacalista, relativista e anticasta e antilusso e anticardinali e antipedofili e antiVaticano? Quanto ci abbiamo caramellato tutti quanti assieme, noi consorteria dei pennivendoli del pensiero unico unificato, con il nostro luogocomunismo, il nostro fariseismo, il nostro doppiomoralismo che vellica sempre la panza del popolo bue? Un Papa alla carta, un Papa supermarket, un Papa icona della modernità e finalmente al passo coi tempi, lui che usa l’utilitaria scassata, lui che se ne va nel monolocale in Santa Marta, lui che abbraccia i protestanti e gli ortodossi e gli islamici e i gay e i divorziati, lui Papa bozzetto, lui Papa pret à porter. Diciamoci la verità, lui Papa macchietta.
Poi, però, quello fa il Papa per davvero e allora, come d’incanto, tutta la nostra baracconata da avanspettacolo va in frantumi. Era successo appena dopo la strage di Charlie Hebdo, quando, mentre eravamo ancora assordati dalla retorica sulla libertà assoluta che permette di dire qualsiasi cosa, aveva pronunciato, con la feroce lucidità dei gesuiti, un’epigrafe destinata a passare alla storia: «Se un mio grande amico dice una parolaccia contro la mia mamma, gli do un pugno». Pochi giorni fa, Francesco ha rifatto il suo mestiere, cioè parlare delle verità nascoste, delle cose ultime, del mistero della trascendenza, e ha pronunciato parole durissime sull’aborto: «È come affittare un sicario per far fuori una persona». E infatti, all’improvviso, è scomparso dai giornali, dalle tv e dal resto del rutilante circo dei media che, fra imbarazzi e contorcimenti davvero spassosi, ha fatto a gara per nasconderlo a pagina ventisette. Ridicolo. Il Papa, qualunque Papa, piaccia o non piaccia, è quella roba lì, non la caricatura che ci piace servire sul vassoio della sbobba multimediale. E se c’è un tema dove la differenza, lo scandalo, la bestemmia rispetto alla mentalità e alla moralità corrente è esplosiva è proprio quello della vita. Quella è l’arma atomica scagliata contro tutti i relativismi, i fariseismi e i vigliacchismi del nostro occidente marcio e declinante. La vita è sacra. La vita è un assoluto non trattabile. La vita è tutto quello che abbiamo, che ognuno di noi ha. E, quindi, l’aborto è un crimine. Un omicidio di un essere vivente, pensante e senziente totalmente indifeso, che viene soppresso da una persona che non ha alcun diritto sulla sua esistenza.
Questo è il punto. L’oscenità. Il pugno. La vita di quel bambino non è nostra. Punto. Non è proprietà della madre. Innanzitutto perché, fatto non contestabile, è al cinquanta per cento anche del padre, che invece viene totalmente escluso dalla decisione sul suo destino. In secondo luogo, perché la madre lo ospita “soltanto”, in attesa di gettarlo nel fiume dell’esistenza, visto che, per i credenti, è proprietà di Dio, mentre per i non credenti che non abbiano buttato il cervello all’ammasso è proprietà di qualcosa d’altro di comunque sacro – il dio Pan? la natura matrigna? il destino? il monolito? se stesso? – che è fuori dalla disponibilità degli altri esseri umani. La vita si giustifica da sé e non ha bisogno di alcuna autorizzazione né di alcuna patria potestà. E non si venga a dire che quel feto prima dei novanta giorni non è un uomo perché chiunque abbia guardato l’ecografia del terzo mese dei propri figli ha visto in tutti i dettagli, tutti gli organi, addirittura nel profilo del viso quel bambino che da lì a sei mesi - sei mesi, un battito di ciglia - sarebbe diventato il loro bambino, allora sì, intoccabile e inviolabile. Beh, lo era anche sei mesi prima.
Ora, è evidente che questa tragedia, questa tragedia assoluta, questa devastazione esistenziale non può rimanere a livello di mera speculazione astratta. Un Papa o un santo la può sostenere, noi fragili peccatori no. E quindi quel tema deve essere normato con una legge che, in presenza di casi estremi - il pericolo di vita per la madre, le vittime di stupro, le gravissime malformazioni del feto - consenta la possibilità dell’aborto, lasciandola nelle piene mani della coscienza individuale. Ma il vero tema è che tutti gli altri - la stragrande maggioranza - sono frutto delle difficoltà economiche, dell’ignoranza, della superficialità o del menefreghismo. Io non me ne curo e, alla faccia delle decine di metodi anticoncezionali testati e sicurissimi, nel caso procedo con un bell’aborto, che viene così ridotto a un anticoncezionale differito. Bene, questa è una cosa inaccettabile, una cosa che fa ribrezzo, una cosa che fa schifo, una cosa che fa vomitare. Ma come ci permettiamo? Quale spurgo di cultura informa i nostri pensieri e ci fa considerare la vita un niente, uno scarto, un grumo di poltiglia da scaricare nel cesso, una pausa caffè nel nostro banchetto di epuloni? Che cosa siamo diventati, sacerdoti dell’effimero e del vuoto etico che, non a caso, non ha mai applicato la 194 negli articoli a difesa della vita, a supporto delle donne in difficoltà e di un percorso verso il compimento della gestazione con affidamento in adozione del bambino non voluto?
Quanti milioni di bambini non sono nati in questi anni? Quanti? Milioni di milioni di milioni. Chissà chi erano, chissà chi sarebbero stati, chi sarebbero diventati: avvocaticchi, pescivendoli, traffichini, beoni, cialtroni, lenoni, madamebovary, illusi, frustrati, sognatori, impiegati, doppiogiochisti, traditori, anime belle, gran ruffiani? Di certo, tutti povericristi: proprio come noi. Beh, volete sapere una cosa? Quei milioni di non nati mi mancano. E la cosa più insopportabile è il silenzio arido e complice con il quale abbiamo accompagnato la loro fine prima ancora di nascere. Un silenzio intollerabile. Un silenzio demoniaco. Un silenzio di morte. Che qualcuno cacci un urlo, per favore.
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