Nello stesso giorno in cui il presidente della più grande democrazia del mondo, Joe Biden, concedeva la grazia al figlio Hunter che, da reo confesso, rischiava trent’anni di carcere per porto illegale di armi e per una frode fiscale di 1,4 milioni di dollari, l’opinione pubblica veniva a conoscenza della liquidazione di oltre cento milioni di euro elargita a Carlos Tavares e, contestualmente, del compenso di 56 miliardi di dollari che Tesla vorrebbe riconoscere a Elon Musk. Senza volerlo, nello stesso giorno, le cronache hanno proposto la perfetta metafora dello stato in cui versa oggi la democrazia liberale.
La tragica confusione tra liberismo e liberalismo ha portato a ritenere “normali” una serie di aberrazioni che, in passato, avrebbero indignato l’opinione pubblica. La politica ha contribuito non poco ad alimentare l’equivoco secondo cui la democrazia si identificherebbe “tout court” nel mercato. In realtà, tale accezione risulta fuorviante in quanto tende ad ignorare che una vera democrazia si pone come finalità precipua quella di coniugare libertà e uguaglianza. Nel solco di tali principi, nel 1995 Ralph Darhendorf pubblicò un saggio il cui titolo riassumeva efficacemente il nodo gordiano di un regime democratico: la necessità di “quadrare il cerchio” tra creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politiche. Lo scenario odierno ci porta a riflettere sui gravi rischi a cui sono esposte le società occidentali nel momento in cui la “creazione di ricchezza”, di cui il capitalismo possiede una capacità portentosa, non viene associata a quel postulato redistributivo che rappresenta l’asse irrinunciabile di un sistema democratico. La concentrazione di ricchezza rappresenta, infatti, una grave insidia per le sorti di una democrazia liberale che, sul piano ontologico, non può restare indifferente davanti alle innumerevoli sperequazioni sociali che il cittadino accetta come un dato ineliminabile imposto dalle “leggi di mercato”. L’accettazione del dogma mercatista, in verità, ci conduce ad un’altra riflessione che ha per oggetto il controllo dei mass media che viene esercitato dagli stessi soggetti che hanno concentrato su di sé una potenza economica di immani proporzioni in grado di influenzare i governi e di orientare le legislazioni degli Stati. Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg rappresentano i semidei di un capitalismo malato nel quale trova conferma una celebre battuta di Warren Buffet, altro famoso miliardario: “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”.
Questo è il vero dramma della modernità: il mito della ricchezza alla portata di tutti ha soppiantato lo sdegno per la povertà di quasi tutti. Attraverso un uso larvatamente pedagogico di stampa, televisione e web, e grazie al supporto teorico di una parte rilevante della classe intellettuale, la cosmogonia del cittadino è stata sapientemente modellata per legittimare le disparità più macroscopiche. In quest’ottica, risulta “normale”, ad esempio, che in Italia il 10 per cento più facoltoso detenga il 60 per cento della ricchezza nazionale; che negli ultimi dieci anni salari e pensioni siano stati falcidiati da un’inflazione del 30 per cento; che l’83 per cento dell’Irpef gravi su lavoratori dipendenti e pensionati. Occorre ammettere che nessun governo della Repubblica ha mai mosso un dito contro queste distorsioni che collidono palesemente con lo spirito di una vera democrazia: tutto “normale”. Parimenti, per il cittadino comune è “normale” che esistano i paradisi fiscali, gli extraprofitti delle banche, le speculazioni in borsa, le stock option, i lauti compensi degli amministratori, gli stipendi da capogiro dispensati nello sport e nel mondo dello spettacolo. Si tratta solo di alcuni esempi di quel vasto campionario di ingiustizie che siamo avvezzi ad ignorare in quanto surrettiziamente educati a farlo. Come diceva Rousseau, “La democrazia esiste dove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi”. Il tramonto dell’Occidente sta tutto qui ma ognuno sembra comportarsi come gli ignari passeggeri del Titanic che, mentre affondava, ballavano spensierati.
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