Non è mettendo la mano sul cuore mentre si canta l'inno nazionale o allargando le braccia mentre si recita il “Padre Nostro”, che si dimostra d'essere bravi italiani e bravi cattolici. La gestualità lasciamola agli artisti di professione e dimostriamo con i fatti il resto. Polemizzare sull'Unità d'Italia non giova, si fa solo il gioco del nemico. Ricordiamo, senza vergognarci, i nostri passati: quello remoto e recente perché il nostro futuro dipende da loro. La piccola e povera Italia possiede il 75% del patrimonio culturale mondiale. La nostra millenaria civiltà conferma: abbiamo ricevuto una grande eredità! Cerchiamo di meritarla. Infine: non smettiamo di lottare mai. Spesso chi si è imposto sul podio senza meriti, non guarda indietro ma solo avanti, nella speranza di un'altra “conquista” più importante, più “meritata” della precedente. Facciamo sentire anche la nostra voce.
Giovanni Bartolozzi
Divido la risposta per tre, caro amico, seguendo il suo ragionamento. 1) La gestualità. Anche l'atteggiarsi ha la sua importanza. Ce l'ha, naturalmente, quand'è sincero. Purtroppo non lo è spesso e si ha la sensazione che ci sta di fronte interpreti una parte. Che reciti. È sempre accaduto, ora accade con maggiore frequenza grazie (a causa) di modelli di comportamento che incoraggiano l'artifizio e il disinganno. Quando si fa passare per vita reale un reality televisivo, il successivo cascame di massa non può sorprenderci. È una naturale conseguenza dell'ammasso dei cervelli. 2) L'Italia e la sua unità. Siamo così individualisti da non cogliere neppure i pregi collettivi del nostro Paese, uno dei quali è la sua cifra culturale. Il mondo ce la invidia, noi diamo al mondo l'impressione d'invidiarlo perché non ce l'ha, questa cifra culturale. E non deve sopportare la seccatura di conservarla. Disdegnando il passato e la sua memoria, derubrichiamo il presente a irrilevante mediocrità, e però sembra che di ciò importi a pochi, quasi a nessuno. A importare è la conquista e il mantenimento del potere, una sostanza contrabbandata sotto ogni possibile (e risibile) forma. 3) Il merito. Se vivessimo in una società che lo riconosce, non segnaleremmo come episodi straordinari le carriere di giovani che si sono imposti grazie a talenti e sacrifici. Invece accade che tale sia l'eccezionalità mentre la consuetudine è diversa. Restiamo un Paese dove prevalgono i raccomandati, i furbi, gl'intriganti e altro di peggio che qui non vale la pena di ricordare, tanto è noto. Sotto quest'aspetto, sì che siamo disuniti. Non tra Nord e Sud: tra privilegiati ed esclusi.
Max Lodi
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