La mafia non occupava scranni in municipio. Un consigliere comunale è stato condannato a sei anni e otto mesi di carcere per più reati, gravi come la corruzione. È dentro questa forbice che deve partire una riflessione seria sulla sentenza emessa ieri dal giudice di Milano chiamato a valutare le condotte e le gesta di Palermo Ernesto più due, come dicono i cancellieri.
Cominciamo dal sospiro di sollievo. Che la ‘ndrangheta non avesse infiltrato pedine nell’amministrazione uscente del capoluogo di provincia è una bellissima notizia.
L’allarme sull’offensiva della criminalità organizzata resta, la soglia di guardia non deve essere abbassata, ma sapere che i partiti lecchesi non sono contaminati dalla delinquenza più pericolosa del Paese regalerà alla prossima campagna elettorale la serenità sufficiente a concentrarsi sulle tante questioni irrisolte di una città normale in un Paese normale. I temi per confrontarsi sul rilancio della città e dell’economia certo non mancano, senza che i candidati si prendano a dita negli occhi con accuse più o meno reciproche o strumentali di mafiosità. Lasciamo alla Divisione distrettuale antimafia di Milano il tempo di preparare il suo già annunciato ricorso. Nel frattempo registriamo che il giudice di questo caso è lo stesso che ha condannato per associazione mafiosa decine di imputati del processo Infinito. Condanne che peraltro hanno retto agli altri due gradi di giudizio e che dimostrano la dovuta competenza in materia.
Le stesse circostanze, la stessa sentenza, costringono però a riflessioni per nulla tranquillizzanti sulla vita politica cittadina. Un consigliere comunale di Lecco è stato condannato a quasi sette anni di galera. Il fatto che il giudice lo consideri un delinquente comune e non mafioso può far gioire i suoi avvocati ma non certo gli elettori della città. Anche perché, a far lievitare l’entità della condanna hanno contributo in modo determinante tre episodi di corruzione, tentata o consumata, nella sua veste di pubblico ufficiale. Allora prendiamo atto che secondo la magistratura in Comune a Lecco qualcuno era uso chieder tangenti.
La condanna a questo punto non è più giudiziaria ma politica. Il partito che ha retto le sorti del Comune in questa legislatura , se ci vuole provare anche la prossima, si deve domandare come ha fatto ad imbarcare personaggi di questo spessore criminale. I dirigenti che hanno preparato le liste, cinque anni fa, sono gli stessi di oggi? Valuteranno se è il caso di fare passi indietro? Che cosa intendono dire, agli elettori, a proposito delle contromisure per questa tornata elettorale?
Senza volerci addentrare in una discussione che è innanzitutto interna al Pd, appare evidente che nel 2010 qualcuno ha pesato un pacchetto di voti senza preoccuparsi a sufficienza della sua provenienza. Quello delle preferenze maleodoranti è un problema generale, che tocca tutti i nuovi partiti. A Lecco tocca alla compagine fin qui al governo assicurare contromisure e anticorpi adeguati. Probabilmente a livello di gruppo dirigente provinciale se è vero, come parrebbe dalla lettura del dispositivo, che il consigliere Palermo è stato riconosciuto colpevole anche della corruzione dell’ex sindaco di Valmadrera. Marco Rusconi sarà giudicato in un altro processo e il caso di Perugia insegna che un giudice può condannare un imputato in concorso con due persone assolte da un altro collegio. Dunque guai alle condanne anticipate e alle strumentalizzazioni. Ma sul piano politico servono risposte.
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