
Natale si avvicina e ogni lecchese di buona memoria prova a fare qualche confronto con l’anno precedente per vedere che cosa è cambiato nella nostra città. Ci sono le stesse luminarie per le vie ad accompagnare la solita folla, che si spera solo più prodiga negli acquisti.
C’è lo stesso trenino che va dalle Meridiane al centro, con utenti indecisi sulla destinazione, perché qualche dubbio sui centri commerciali comincia a serpeggiare, ma con passeggeri comunque festosi, perché sicuri di viaggiare in condizioni meno precarie dei concittadini pendolari di Trenord. C’è lo stesso Villaggio di Natale con le stesse casette in stile “prefabbricato”, di spalle al lago in Piazza Cermenati dove sarebbero visibili dal Lungolago, in rigida sequenza lineare in Piazza XX Settembre, a coprire il Palazzo delle Paure e l’Ufficio Turistico da un lato, i negozi che affacciano sulla piazza dall’altro. Forse i lecchesi gradirebbero una collocazione più da mercatino natalizio, magari con una avvolgente disposizione circolare, ma la fantasia dei nostri urbanisti non riesce a sfrenarsi neppure per le feste.
C’è la stessa assenza di cinema dello scorso Natale: nessun locale aperto, ad eccezione del faro ben acceso del Palladium, anche se consola pensare che nel futuro ci sarà un “cinema diffuso”, in grado di compensare quella che ora è solamente una insofferenza diffusa. C’è lo stesso sistema museale, in controtendenza compreso l’ingresso rigorosamente gratuito, in cui le chiusure sono decise a priori in giorni immodificabili, anche quando corrispondano a un massimo di afflusso di potenziali visitatori. Venire a Lecco per una mostra in un martedì festivo è pretendere troppo!
Lecco dunque non sembra molto cambiata rispetto a un anno fa, a parte l’invito accolto di proiettare sulla facciata della ex Popolare di Lecco qualche nota colorata per attenuarne il grigiore. Ma sotto l’albero di Natale (anche questo identico e collocato sempre a margine della piazza, quasi per non disturbare) mancano molti dei “doni” su cui in passato potevamo contare. Sono spariti i pacchetti che contenevano la Provincia, la Prefettura, il Provveditorato agli Studi, molti Uffici postali, l’Asl. Eppure i lecchesi sembrano accettare tutto, come da un severo Babbo Natale.
È questo l’atteggiamento che davvero preoccupa, più ancora della ripetitività e della sottrazione ad oltranza a cui siamo sottoposti. C’è il rischio che la nostra antica provincialità combattiva pre-Provincia si trasformi in un passivo provincialismo senza ritorno. Lecco deve invece conservare il suo orgoglio di città. Per non precipitare in un altro “inverno del nostro scontento”, bisogna cogliere qualche segnale positivo. Il restauro concluso del Monumento dello Stoppani, quello avviato del Manzoni. I primi interventi su Villa Manzoni, lo sblocco delle “incompiute” (Piazza Affari e Tribunale), ormai più famose della sinfonia schubertiana. Le tre nuove librerie riaperte per le tre “vecchie” librerie chiuse, a colmare un vuoto e a creare eventi e incontri. Il Teatro della Società che apre il suo elegante spazio neoclassico, oltre che per la stagione teatrale e concertistica, a serate di grande cultura. Qualche vetrina spenta che di nuovo si illumina.
Quale dunque il bilancio conclusivo? Sembra delinearsi, in un curioso rimando tra clima attuale e stato della città, un ossimoro alla maniera dei poeti. Il cielo è insolitamente sereno, ma sottilmente sereno (nel senso delle polveri). È un’infida malia che ci impedisce di capire se possiamo credere all’azzurro o dobbiamo diffidarne. Se vogliamo continuare a cullarci nella soddisfazione dell’esistente o cercare con maggiore consapevolezza e creatività di migliorarlo.
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