Editoriali / Lecco città
Giovedì 20 Febbraio 2014
Lecco, «Ho salvato l’azienda
E adesso pago il conto»
La storia emblematica di un imprenditore che ha fatto di tutto pur di non dichiarare fallimento. Ora passa da un aula di tribunale a un’altra per non aver versato i contribuiti Inps in tempo
Ha fatto di tutto per salvare la sua azienda, arrivando a “immettere” capitali propri pur di evitare il fallimento. Non si è voluto arrendere di fronte alle porte chiuse, alla banche che, di punto in bianco, bloccano il credito, negando i fidi, togliendo quell’ossigeno necessario a ogni impresa per sopravvivere.
È stato lo stesso giudice davanti al quale è comparso ieri mattina, nell’ennesimo procedimento penale “figlio” di quegli anni di difficoltà economica e di battaglia per la sopravvivenza, a chiedergli: «Ma perché non ha dichiarato fallimento in proprio?». «Bella domanda, con il senno di poi non so se rifarei tutto da capo», è stata la risposta.
Quella che è approdata ieri mattina nell’aula penale del tribunale di Lecco, davanti al giudice monocratico Guido Lomacci, è una storia che racconta di questi tempi di crisi. Una storia esemplare, la potremmo definire, perché comune a tante altre: «Perché di piccoli imprenditori come me, che non hanno voluto gettare la spugna, ce ne sono più di quel che si creda. Eppure, anche quando l’azienda si è salvata, come nel mio caso, non è mai finita. Perchè la giustizia ti chiede conto dei contributi previdenziali o dell’Iva che non hai versato quando eri con l’acqua alla gola. Io ho saldato i debiti, ma ho diversi procedimenti aperti che devo definire dimostrando di aver pagato in ritardo, a rate. A volte mi chiedo chi me l’abbia fatto fare», racconta il diretto interessato, 54 anni.
La sua azienda di Oggiono (ma la sede di amministrative è nel Monzese), ceduta a ottobre quando ormai era tornata in salute («Non ce la facevo più, sono stati anni troppo faticosi»), opera nel settore tessile, uno di quelli che ha più conosciuto la recessione. «Ma non sono state le perdite a gettarci sull’orlo del baratro -racconta al termine dell’udienza l’imprenditore, che tornerà in aula con il suo difensore, l’avvocato Luca Ricci del Foro di Milano, il prossimo 3 aprile con le pezze giustificative in grado di dimostrare quando ha versato quei 30mila euro di contributi previdenziali dovuti all’Inps tra il febbraio 2007 e l’ottobre 2008 -. Sono sempre stato oculato, la mia era una piccola azienda, una quindicina di dipendenti».
«La mazzata ce l’hanno data le banche, quando, di punto in bianco, hanno chiuso tutti i rubinetti. Mi creda, non stavamo andando male, erano loro che iniziavano ad accusare le prime difficoltà della crisi e hanno voluto rientrare dei crediti - prosegue il racconto -. Così mi sono ritrovato con zero debiti con le banche ma senza più liquidità».
© RIPRODUZIONE RISERVATA