
Prima domenica di marzo, il mercatino delle pulci non c’è più. Nato qualche anno fa in piazza XX Settembre e cresciuto fino a diventare un appuntamento di qualità atteso dagli appassionati, non solo lecchesi, l’evento destinato ad animare il centro città una domenica al mese è stato spostato alla Piccola, con una scelta, magari condivisa da alcuni espositori, ma perdente in partenza per chi delle location lecchesi ha una anche minima conoscenza. Con una sede decentrata per uno spazio espositivo bisognoso anche del grande pubblico di passaggio, era naturale aspettarsi un calo tanto nella partecipazione, quanto nell’appetibilità per gli “standisti”, come è puntualmente avvenuto.
Riportato nel centro, con una non sempre comprensibile alternanza tra Piazza Garibaldi e il Lungolago, non lontano dal Monumento ai Caduti, l’appuntamento non è riuscito a recuperare appeal e a trasformarsi come era nelle premesse in un vero mercato dell’antiquariato, di quelli che hanno fatto la fortuna di località come Bollate, per citare un solo caso lombardo, ma ha conservato almeno simbolicamente la sua carica di attrazione e quindi le sue potenzialità. La domanda è dunque spontanea. Dobbiamo considerarla l’ennesima chiusura o possiamo immaginarne il ritorno? Difficile dirlo.
La Lecco in cui stiamo vivendo sembra più votata alle sottrazioni improvvise che al potenziamento dell’esistente, a partire da negozi storici e cinema, ma forse è solo una falsa prospettiva di chi non riesce a staccarsi da un immaginario consolidato, forse è lo scotto inevitabile da pagare a un mondo che cambia e a una città che cerca nuove modalità per crescere. Qualche dubbio però resta su questa linea di tendenza. L’impressione è che una città di provincia come Lecco, con pochi monumenti di spicco, ma favorita da un contesto ambientale di assoluta bellezza e fruibilità, complementare per vicinanza a un centro trainante come sta ridiventando Milano, invece di accentuare in senso virtuoso la sua provincialità con offerte originali e alternative rispetto alla grande metropoli, rischi suo malgrado di scadere in un marginale provincialismo.
Manca una sala di adeguata capienza, indispensabile per organizzare iniziative di richiamo non solo per il territorio, ma anche per le province vicine. L’idea però che sia un privato da solo a sobbarcarsi l’onere di una pur prevista sala/multisala, senza garanzia di un concreto supporto dalle istituzioni e senza un sicuro ritorno economico, è pura illusione, se non utopia. Anche le strutture ricettive meriterebbero un adeguato ampliamento e in questa prospettiva, tanto per fare un esempio, uno spazio come quello della ex Deutsche Bank, lasciato in totale abbandono, è uno spreco che Lecco non si dovrebbe permettere.
Stesse considerazioni si potrebbero fare per l’area della Piccola, un vero gioiello se recuperata in tempi brevi e con intelligenza, ma che resta ora poco più che un parcheggio. Anche un polo fieristico, se si pensa alla funzione di sviluppo che ha avuto per Erba l’Elmepe, ora Lario Fiere, sarebbe un modo per rilanciarci. Per non dire di un porticciolo turistico, non un “mostro”, ma una struttura ecosostenibile, che farebbe di Lecco un apprezzato “approdo”, anche in senso materiale.
Insomma non è la soppressione, speriamo momentanea, di un mercatino delle pulci a fare la differenza per i lecchesi. E neppure la chiusura annunciata e speriamo breve del Teatro della Società a maggio. Quella che non deve passare è l’impressione di abbandono, ingiustificata nei fatti ma percepita emotivamente da molti nostri concittadini, ciascuno per un diverso motivo. Lecco ha bisogno, ora più che mai, di ritrovare idee, entusiasmo e voglia di reagire.
© RIPRODUZIONE RISERVATA