Fra le tante cose del disastro di Genova restano le storie di quei bambini vittime della tragedia definita a ragione “assurda” dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quella di Samuele, 7 anni, il più piccolo, volato via insieme ai genitori, al pallone e al secchiello e la paletta con cui avrebbe voluto giocare sulle spiagge della Sardegna. Un’autostrada della vita che si interrompe con il crollo di un ponte, una voragine che si mangia in un attimo sogni e prospettive. Cosa sarebbe stato quel bambino a cui un destino bastardo ha negato un futuro? Basterebbe pensare ai bambini e agli adulti vittime di una tragedia ottocentesca consumata nel terzo millennio. Nell’era digitale, ultra tecnologica, i ponti crollano come castelli di carte di fronte a un soffio di fiato.
Qualcosa non torna. Perché l’Italia è la terra del precariato. In tutti i sensi. E nessuno può escludere che la tragedia del Morandi sarà l’ultima. Non passa giorno che non si sappia di qualche ponte ammalorato: sì non è mica detto che crolla. Però non si sa mai. E alla fine quello di Genova non è il primo, anche se il peggiore. Perché rispetto agli altri stava sospeso a 100 metri il 14 agosto, un lunedì di vacanzieri o lavoratori che tirano l’anima con i denti perché non possono permettersi le ferie, oppure di gente che passa di lì perché si fa prima in quella lingua di città stretta fra la terra e il mare.
Di fronte a una cosa tanto enorme la politica ha due alternative. Tacere, rimboccarsi le maniche e vedere di evitare ad altri bambini di 7 anni che crolli un ponte lungo l’autostrada della loro vita, oppure dare aria ai denti, perché in Italia la campagna elettorale, questa campagna elettorale, non finisce mai. Che cosa hanno scelto la maggior parte dei rappresentanti del popolo e i governanti? La busta numero 2. Prima cosa, un aspetto che accomuna molto gli eletti ai tanti leoni da tastiera che li hanno votati, bisogna cercare qualcuno a cui dare la colpa. “Ditemi i nomi dei responsabili”, ha tuonato petto in fuori il ministro degli Interni, Matteo Salvini. Non prima di aver postato sui social una precisazione per cui in una giornata tragica comunque non avevamo fatto sbarcare i migranti a bordi dell’Acquarius. Perché perdere l’occasione di andare a cercare qualche altro voto?
Ma a Salvini, nessuno ha detto che forse deve essere lui a preoccuparsi della nostra sicurezza che magari, come si è visto, non è proprio minacciata soltanto dai disperati che tentano di sbarcare sulle nostre sponde? Al ministero potevano pure avvertirlo, così come sarebbe stato opportuno farlo con Toninelli, ministro per Infrastrutture cioè anche ai ponti che ha fatto eco al collega nella battuta di caccia ai responsabili.
Di fronte a decine di morti, continuare a fare campagna elettorale, peccato a cui purtroppo si sono sottratti in pochi, somiglia tanto allo sciacallaggio. Vale anche per il vice premier Di Maio che non si è premurato di verificare la veridicità delle tante fake news che ha sparato a mitraglia sui Benetton, concessionari delle autostrade senza che la magistratura avesse ancora aperto un’inchiesta. E vale per coloro che si sono subito premurati di andare a sbandierare davanti agli avventati pentastellati la loro opposizione, guidata da Beppe Grillo in persona, alla Gronda autostradale di Genova che avrebbe sgravato il traffico dal ponte Morandi. E che non è stata comunque costruita, nonostante al governo non ci fossero ancora i post grillini.
Anche il proclama di revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, prima ancora, va ribadito che la magistratura abbia accertato la benché minima responsabilità, salvo poi far finta che abbiamo scherzato di fronte al rischio delle penali, è agghiacciate.
Manca solo di veder comparire il colonnello Tejero pistola in pugno e cappello a tricorno. Per ora la minaccia è servita solo a fare perdere soldi a chi ha in tasca le azioni di Atlantia, il gruppo costituito dalla famiglia Benetton per gestire la rete autostradale italiana. Le parole dei politici sono costate 5 miliardi di capitalizzazione in Borsa. Certo, uno o più colpevoli ci saranno, ma nell’attesa che chi di dovere, in uno Stato di diritto faccia tutte le indagini del caso, la politica ha solo il dovere di adoperarsi per evitare che a Genova, Ancona e Annone seguano altre sciagure. Nessuno sembra farsene carico. Forse perché prevenire gli incidenti non porta voti. Si sa che l’albero che cade fa molto più rumore della foresta che cresce.
Quando avvenne l’immensa tragedia del Vajont, 1963, Indro Montanelli scrisse che “nella vita delle nazioni ci sono sempre state tragedie di ogni genere, carestie, pestilenze, terremoti, che vanno affrontate con coraggio e senza creare odi interni.”
Andate a vedere quali furono le reazioni dei politici della Prima Repubblica, con tutte le sue distorsioni, di fronte alle grande tragedie nazionali. Forse c’è qualcosa da imparare. Purtroppo i bambini morti innocenti nel crollo non avranno questa facoltà.
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