Alla metà degli anni Settanta, in qualsiasi scuola media di provincia c’era sempre il buffone della classe che, proprio per questa sua attitudine caratteriale, provava ogni volta a diventare l’anima delle feste di compleanno.
Il problema è che non tutti nascono Oliver Hardy o Jerry Lewis e quindi il più delle volte le imitazioni della maestra miope, del vigile panzone o del ciabattino balbuziente non facevano ridere nessuno. Per non parlare poi di quella del francese con la erre moscia, del tedesco ottuso alla Sturmtruppen e del napoletano tutto pizza, serenate e mandolino. Ma era quando proponeva la parodia del cinese che parlava con la “elle” al posto della “erre” mimando gli occhi a fessura tirandoli con gli indici delle mani che il malcapitato veniva cacciato tra pernacchie, insulti, schiaffi del soldato e lancio di palle di cartapesta, torsoli di mela e smozzichi di focaccia rancida. Quella del cinese era una gag già vecchia e stravecchia quarant’anni fa. Figuratevi oggi.
Proprio per questo motivo, ci sono alcuni aspetti stupefacenti nella grottesca vicenda delle minacce, anche di morte, a Michelle Hunziker e a Gerry Scotti a causa della loro scenetta sui cinesi a “Striscia la notizia”. Il primo è che nell’anno del Signore 2021 ci siano due noti - e tutto sommato simpatici - personaggi televisivi che durante una notissima - e tutto sommato penosa - trasmissione abbiano il coraggio napoleonico di ripropinare al pubblico uno sketch che andava forse bene ai tempi di Carlo Codega, di Gilberto Govi e di Macario e che oggi potrebbe essere gustato solo all’interno di un amarcord delle Teche Rai. Ma questo giusto a ulteriore conferma del livello sottozero al quale è arrivata la nostra televisione generalista. E poi dicono che uno fa l’abbonamento a Netflix…
Il secondo aspetto stupefacente - ma poi, a pensarci bene, neppure tanto - è che come conseguenza, ripetiamo, di una scenetta talmente ridicola, talmente infantile, talmente dilettantesca che manco all’oratorio di Ambivere Mapello, non sia scattata una sonora risata di compatimento, ma si sia invece scatenata l’ennesima guerra di religione per supposto vilipendio della cultura cinese con il furoreggiare dell’Inquisizione social, che ha ricoperto di insulti i due poveracci, bollati come mascalzoni, farabutti, razzisti, fascisti, colonialisti con tanto di linciaggio digitale lanciato da un account ultramoralista e ultrabacchettone al quale non è neppure il caso di fare ulteriore pubblicità gratuita.
Ma il terzo aspetto stupefacente - e soprattutto grave - è che la Hunziker e Scotti si siano scusati, anzi, abbiano chiesto “umilmente scusa”, la prima con un video al di là dei confini dell’imbarazzo e poi i due assieme in una intervista al “Corriere della sera” nella quale hanno ribadito più e più volte quanto fossero dispiaciuti e avviliti e contriti per questo sospetto di razzismo nei confronti della più millenaria delle culture, della dignità di un intero popolo, del sacro rispetto delle etnie e bla bla bla. E, nel contempo, di quanto fossero scossi nel vedere quanto sia diventata pericolosa la cappa del politicamente corretto, che impedisce di esprimere un’opinione su qualsiasi cosa, perché immediatamente parte la gogna mediatica di questa o quella corporazione o consorteria, di questo o quel ceppo linguistico o religioso o sessuale, di questa o quella famiglia o quartiere o rione, che vede in qualche modo lesa la propria maestà.
Ora, è vero che esiste una cappa di conformismo, anzi una dittatura omeopatica del conformismo, un vàpido regime alla vaselina del politicamente corretto fariseo, filisteo e tartufesco. E’ vero al mille per mille. Ma, per quanto paradossale possa sembrare, sono proprio Michelle Hunziker e Gerry Scotti a essere dei rappresentanti del conformismo e del politicamente corretto che denunciano. Anzi dei santoni, dei ventriloqui, dei testimonial. E la cosa ancora più inquietante è che probabilmente lo sono a loro insaputa, senza neppure accorgersene.
Un anticonformista, anzi, più semplicemente, un uomo libero, non si scusa per una cosa che non ha fatto o per una frase che non rappresenta nulla di offensivo e non si fa giudicare dal primo imbecille che passa, anche se è un imbecille collettivo composto magari da sei milioni di follower. Un anticonformista rivendica la sua individualità, la sua scelta autonoma, la sua libertà nel dire quello che vuole, quando vuole e come vuole, il suo diritto a esprimere idee e a criticare chi vuole, quando vuole e come vuole, perché non esiste alcuna morale assoluta condivisa immanente e incombente che distingue il grano dal loglio, il bene dal male e che ti tappa la bocca, ti obbliga a tacere, ti obbliga a scusarti, a chiedere perdono al padrone, come se fossi lo schiavo delle piantagioni, il figlio della serva, l’orso del circo.
Sono anni che non facciamo altro che vedere gente che si scusa, gente che si sdraia, gente che si genuflette, gente che si fa prendere a pesci in faccia. E, attenzione, stiamo parlando di personaggi noti, scintillanti protagonisti del jet set, dello showbiz, del culturame da terrazza che sfarfalleggia sul paese, dei gran scienziati, dei cervelloni, dei professoroni, degli influencer con due palle che fumano e che passano le giornate a esibire sapienza, potenza e possanza a noi popolo bue, noi italiani medi con l’anello al naso. Ma appena, putacaso, ne schiacciano una di quelle fumanti, uscendo a torto o a ragione di un millimetro dall’orbita della culturetta conformista che abita quei mondi e che può mettere in pericolo contratti, share e investimenti pubblicitari, ecco che scatta l’autofustigazione in diretta Facebook e il rientro immediato nei ranghi. Non la si fa al Consumatore Collettivo che regge i destini del mondo.
Quando arriverà una Hunziker capace di raccogliere le migliaia di post dei suoi odiatori da tastiera e di mandarli tutti quanti “affncl”, beh, quello sarà un gran giorno per la sua libertà. E per la nostra.
[email protected]@DiegoMinonzio
© RIPRODUZIONE RISERVATA