Ci sono storie che hanno il marchio di fabbrica di storie minori, che non danno titoloni. E se li danno durano lo spazio di un giorno o due. Poi spariscono nel dimenticatoio. Ma a volte si legano a immagini che in qualche modo ti colpiscono, che ti fanno frullare la testa.
E ti mettono di fronte a domande che quasi sempre restano senza risposta. Semplicemente perché - probabilmente - a nessuno verrà mai in mente di chiamarti o anche solo di scrivere una mail per darti una ragione, una spiegazione, un perché.
L’inizio d’anno ci ha consegnato due di queste storie. La prima porta il nome di Mara Maggioni, la ragazza travolta e uccisa l’altra sera sulla provinciale a Casletto di Rogeno. La seconda di Houcine Fassali, il giovane ripescato sabato, ormai cadavere, dal lago.
Di foto di incidenti ne abbiamo viste tante, troppe. Ma quel giubbino di jeans e gli stivaletti di Mara rimasti a bordo strada rendono meglio di ogni altra immagine il senso della tragedia di una ragazza che ha concluso la sua vita nel buio di una strada, investita da un fuoristrada, all’indomani del suo quarantesimo compleanno (era nata il primo gennaio del 1975 a Barzago).
Dove andava Mara l’altra sera alle nove con il suo trolley? Cosa l’ha spinta ad affrontare un rischio così grande, su una strada tanto pericolosa e oscura? Chissà. Forse non lo sa nessuno. O forse lo sapeva solo lei, ma non potrà mai dircelo.
Le cronache ci consegnano solo il ritratto di una vita difficile, travagliata. Un grave incidente in moto da cui si salvò nel 1999 e che costò la morte dell’amico che era alla guida. Poco altro.E così scende il sipario su Mara.
La storia tragica di Houcine Fassali è molto diversa, ma accomunata dallo stesso velo di tristezza e disperazione. Era l’8 di dicembre quando si è sporto dal Ponte Vecchio e si è lasciato cadere nelle acque gelide dell’Adda. Anche lui ci ha consegnato un’immagine che avrebbe colpito anche il cronista più distratto. A lato della strada ha lasciato uno zainetto con i documenti, il cellulare e pochi effetti personali. Che ci dicono poco di Houcine, se non la giovane età (32 anni) e la nazionalità (marocchina).
Cosa lo ha spinto a lanciarsi da Ponte Vecchio quel giorno? Chissà. Ma vengono i brividi solo a pensare a lui che si issa sul ponte e si butta giù, al freddo dell’acqua, alla corrente che lo trascinava a fondo. E a tutti i giorni passati in quella bara gelida prima che lo ritrovassero.
Le storie, anche quelle minori, sono sempre corredate da immagini, che colpiscono la sensibilità di chi ha gli occhi per coglierle. Basti pensare alla tragedia delle tre bimbe di Chiuso - Simona, Keisi e Sidny - uccise lo scorso anno dal raptus omicida di mamma Edlira. Di loro ci rimangono i volti sorridenti postati su Facebook (ormai un’icona nella mente di tutti i lecchesi), ma anche immagini meno note: l’orsetto e la rosa legati alla cancellata di casa Dobrushi e quelle tre bare bianche salutate per l’ultima volta alla Casa sul Pozzo di padre Angelo Cupini.
Di Mara e Houcine non ci rimangono nemmeno i volti, ma solo i dettagli di un incidente stradale e la foto di un corpo ripescato dalle acque gelide del lago. Chissà chi erano davvero e se esiste l’immagine di un loro sorriso.
Certo, qualcuno dirà che sono storie minori, marginali, di poco o nessun interesse. A noi rimane il dispiacere per due giovani vite spezzate troppo presto in questi giorni di festa.
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