Economia / Lecco città
Venerdì 27 Dicembre 2024
Lavoro nel Lecchese: in sei mesi tremila
posti in più, ma la Uil: «Più precari»
Nonostante il saldo positivo fra nuove assunzioni e cessazioni di lavoro nel primo semestre 2024, la provincia di Lecco «registra un crollo di varie tipologie di lavoro stabili, con riduzioni marcate su apprendistato e somministrazione». A spiegarlo sono i dati del nuovo report della Uil Lombardia che per quanto riguarda Lecco registra nel semestre 18.026 assunzioni e 14.842 cessazioni, con saldo positivo di +3.184 unità. Le cessazioni da gennaio a giugno 2024 hanno infatti riguardato contratti a tempo indeterminato (4.623) e in somministrazione (3.989). I contratti a termine non rinnovati sono stati 4.459, le cessazioni in apprendistato 400, quelle stagionali 298 e le chiusure di contratti intermittenti (che rappresentano il massimo del precariato) 1.073. Mettendo invece a confronto l’andamento del primo semestre di quest’anno con lo stesso periodo del 2023, da gennaio a giugno di quest’anno è andata meglio per le cessazioni del tempo indeterminato (nel primo semestre 2023 erano state 4.862), così come per l’apprendistato (478, quindi quest’anno sono state 78 in meno) e per la somministrazione (4.152 nel 2023, quest’anno 163 in meno).
I dati lecchesi riflettono un quadro regionale lombardo con tendenza simile, caratterizzato da una minore stabilità, più precarietà e turnover elevato. Fra i dati emerge quello che Salvatore Monteduro, segretario confederale Uil Lombardia, definisce «un doppio problema»: primo, il calo di lavoro stabile, perché «le imprese non investono sul lungo periodo, preferendo contratti flessibili e meno onerosi»; secondo, un turnover elevato e frammentato tale che «le cessazioni rimangono su livelli significativi, spesso concentrate su contratti a termine o intermittenti, creando un circolo vizioso di precarietà». Una dinamica che «non è neutra – afferma Monteduro -, incide sulla vita dei lavoratori, che non possono pianificare il proprio futuro, e sul tessuto produttivo, che resta debole perché non consolida competenze e professionalità». Per uscirne serve «rafforzare le politiche del lavoro, incentivare la stabilizzazione, investire nella formazione e rimettere al centro l’apprendistato come leva strategica per creare occupazione qualificata», aggiunge, sottolineando che gli strumenti da promuovere sono quelli degli incentivi alla stabilizzazione, attraverso premialità per quelle aziende che trasformano i contratti a termine in assunzioni a tempo indeterminato, oltre al rilancio dell’apprendistato, «con percorsi formativi di qualità per garantire ai giovani un ingresso solido nel mercato».
Le altre vie da percorrere sono quelle della formazione continua, perché «lavoratori aggiornati e competenti sono più produttivi e meno sostituibili, contribuendo alla crescita aziendale» e della contrattazione collettiva di qualità, grazie ad «accordi che puntino non solo al numero dei contratti, ma alla loro sostanza, ridando centralità alla dignità del lavoro. Il saldo positivo tra assunzioni e cessazioni in molte province non deve trarre in inganno: la Lombardia non sta creando lavoro stabile, ma alimentando precarietà. Ridare valore al lavoro significa investire in rapporti duraturi, competenze qualificate e percorsi di carriera certi. Solo così potremo – conclude Monteduro costruire un’economia più forte e una società più giusta».
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