Matteo Renzi e la sindrome del rottamatore: deve far presto altrimenti verrà depotenziato, disinnescato e fagocitato dal sistema. Non sono un suo fan, non l'ho nemmeno votato e non sono neppure dell'area di sinistra, ma mi sembra l'unico che possa sintetizzare il comunismo, ormai defunto, con il vecchio capitalismo schiacciato dalla globalizzazione.
Sembra il più simile a Obama che è riuscito a far convergere le tantissime diversità degli Stati Uniti. I Pd, suoi compagni di partito, sono capaci di digerire tutto; riescono ad appiattire qualsiasi spinta innovativa che tende a uscire dall'apparato. Bersani ne è l'esempio; è riuscito a perdere dove aveva già vinto.
Gianfranco Longhi
Renzi difficilmente scamperà alla tenaglia Bersani-Berlusconi. Non è interesse né del primo né del secondo che l'ex competitor del segretario Pd per la candidatura a premier faccia qualcosa di diverso dall'amministrare Firenze. Almeno per ora. Se si tornasse a votare, chissà. Ma Bersani insisterebbe per evitare nuove primarie, adducendo la scusa del poco tempo a disposizione.
Intanto è alle prese con il dilemma Berlusconi: trattare o non trattere? Fare un governissimo, sia pure mascherato, o non farlo? Dare precedenza ai problemi del Paese o a quelli del partito? Rivelatrici le recenti acrobazie democratiche: Franceschini che apre al Cavaliere, Bersani che subito dopo richiude. Il problema è la base, sono gli iscritti e gli elettori: molti non digerirebbero la larga intesa.
Eppure è l'unico sentiero, sia pure stretto, per dare un minimo di luce al Paese piombato nell'oscurità, visto l'incomprensibile rifiuto di Grillo a collaborare. Grillo sta buttando via un'occasione storica, non ne avrà un'altra così.
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