Konig delocalizza e sposta la produzione in Carinzia, la regione meridionale dell’Austria che confina con il Friuli e che negli anni passati era conosciuta soprattutto per Jorg Haider, il governatore populista e nazionalista con sospette simpatie filo-naziste. Ci sono due aspetti sui quali soffermarci. La decisione di delocalizzare, una scelta che nei primi anni duemila hanno fatto tante imprese, salvo poi ripensarci. Dieci-quindici anni fa, sembrava che de-localizzare in Cina, o comunque in paesi a basso costo del lavoro, fosse una necessità per restare competitivi e per entrare in nuovi mercati (la vicinanza ai clienti). Alcune esperienze – forse la maggioranza - di de-localizzazione sono state positive e proseguono ancora oggi, mentre altre, dopo alcuni anni, si sono dimostrate anti-economiche: costi che non si pensava di dover sostenere, ma soprattutto difficoltà a garantire un adeguato livello qualitativo dei prodotti, a causa della insufficiente preparazione dei dipendenti. Così agli anni della de-delocalizzazione sono seguiti quelli dei ritorni. Tante produzioni sono rientrate in Italia.
Secondo aspetto da considerare. La decisione di Pewag – il gruppo proprietario di Konig – di trasferire la produzione in Carinzia e in Repubblica Ceca. Cioè in Paesi che sono nostri partner in Europa e che hanno, o dovrebbero avere, condizioni di sistema paragonabili al nostro. In teoria dovrebbe essere così. Nella realtà no: in Carinzia la tassazione sugli utili d’impresa dal 2004 è al 25%. L’Irap non sanno cosa sia. C’è una maggiore deducibilità dei costi produttivi, oltre a una serie di contributi regionali per investimenti aziendali, che possono arrivare fino al 20%. Il costo dell’energia è del 20-30% inferiore a quello italiano. La preparazione del personale è ad un livello almeno pari al nostro. Domanda: se foste un imprenditore, e per giunta austriaco, dove preferiste produrre, a Molteno o nella verde Carinzia?
Queste le valutazioni dell’immediato, sopra le quali sta una domanda: perché siamo arrivati a questo punto? Perché da anni – almeno dall’inizio del millennio – la produttività delle imprese italiane non regge il passo dei concorrenti nel centro-nord Europa? Certo, le responsabilità sono prima di tutto di chi ha governato in Italia negli ultimi due decenni, che ha lasciato che il sistema Paese si crogiolasse nella mediocrità. E’ venuta così a mancare quella spinta al cambiamento e all’innovazione che ha consentito ai nostri partner di adeguarsi alle mutate condizioni competitive dettate dalla globalizzazione.
Ma ci sono anche responsabilità di tanti imprenditori che non hanno investito, e hanno preferito mantenere le posizioni, un atteggiamento che, negli attuali scenari, equivale a una condanna al declino. Temi che – con riguardo alla vicenda Konig – ha affrontato con straordinaria lucidità il sindaco di Molteno Mauro Proserpio quando afferma che «è saltata una generazione di imprenditori e bisogna creare subito le condizioni affinché ne possa nascere un’altra. Il ricambio generazionale che è mancato ha determinato il crollo e la scomparsa sul nostro territorio di aziende storiche». Analisi spietata che deve far riflettere. Alla quale comunque vogliamo aggiungere la constatazione che nel Lecchese restano ancora tante imprese eccellenti che spesso sono leader di mercati o di nicchie più o meno grandi. E poi Lecco dispone di un patrimonio di competenze diffuse che pochi territori hanno. Insomma, le basi per tornare a crescere ci sono, non buttiamoci giù. Bisogna però superare rivalità da campanile e ritrovare un’unità di intenti e progettuale che manca ormai da anni.
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