Economia / Valchiavenna
Martedì 01 Gennaio 2019
«L’accordo salasso per i frontalieri
non sarà approvato»
Rassicurazioni dal parlamentare Currò riguardo all’imposizione fiscale per i lavoratori. «Bisogna trovare un equilibrio. I salari vanno tutelati».
L’accordo-salasso non verrà approvato. I frontalieri possono stare tranquilli. Sono passati quasi tre anni dall’annuncio di un’intesa «sull’imposizione dei lavoratori frontalieri, unitamente ad un protocollo che modifica le relative disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni» del dicembre 2015 e la maggioranza parlamentare non ha dubbi: non si va avanti, perché non ci sarà l’indispensabile approvazione dell’aula. Lo conferma Giovanni Currò, dottore commercialista e parlamentare comasco del Movimento 5 stelle. Per i valtellinesi e valchiavennaschi occupati nei Grigioni - circa 5mila secondo alcune recenti stime dei sindacati - è un’ottima notizia.
«Appena siamo entrati in Parlamento su questo testo abbiamo subito espresso la nostra contrarietà - spiega Currò -. In un primo momento siamo andati dal presidente della Camera Roberto Fico chiedendogli di non procedere con la calendarizzazione. Poi c’è stato l’accordo politico per non mettere in programma la ratifica». I primi dubbi riguardano il metodo. «Al di là dell’accordo stesso, ciò che a noi non va giù è il mancato coinvolgimento di tutte le forze politiche. L’accordo, concluso nel 2015, era partito con governo tecnico di Mario Monti: non aveva alcuna rappresentanza politica, premessa che un’intesa internazionale deve avere, per essere rappresentativa di tutte le forze parlamentari».
Secondo Currò le criticità sono tante e tutte rilevanti. «La prima problematicità è determinata dal fatto che per ora l’accordo non riguarda i ristorni», premette il deputato pentastellato, anche se il Pd nella scorsa legislatura aveva offerto, a livello di intenzioni, delle garanzie. «L’intesa del 1974 era nata per sviluppare l’area di confine. Sono cambiate molte cose, ma resta la necessità di valorizzare queste zone. Il nostro obiettivo è mantenere lo scopo originario della normativa. Le politiche passate non hanno fatto abbastanza sul fronte della valorizzazione dei servizi e delle infrastrutture tra Italia e Svizzera, ad esempio in termini di strade, ora bisogna rimediare». Ma il punto più importante è quello dell’alleggerimento delle buste paga dovuto alla comparsa dell’Irpef nelle dichiarazioni dei redditi dei frontalieri. Cosa buona e giusta secondo alcuni, perché i frontalieri e le loro famiglie vivono in Italia e usufruiscono dei servizi del Belpaese. Ma non secondo una parte di sindacato, per i lavoratori e - questo è ciò che conta - l’attuale maggioranza, almeno nei termini previsti tre anni fa. «Bisogna gettare delle nuove basi, tendendo conto dell’economia delle province di confine», precisa Currò. L’accordo del 2015, con la previsione dell’Irpef - sulla base delle aliquote italiane - oltre alle imposte alla fonte in Svizzera, avrebbe abbassato in modo rilevante lo stipendio netto dei frontalieri nel giro di una decina d’anni. «Una tassazione elevata come quella italiana avrebbe annientato completamente la differenza di stipendi - aggiunge Currò -. Nella Confederazione ci sarebbero stati salari più bassi di quelli attuali, ma con le tutele svizzere, ben inferiori a quelle del nostro Paese. L’eventuale doppia imposizione deve tutelare i salari anche per garantire ossigeno all’economia delle zone di frontiera. Se non fosse così ci sarebbe una devastazione in termini di filiera».
Sulla soluzione definitiva non ci sono ancora indicazioni precise. «Bisogna trovare un equilibrio, con una parte delle tasse che vada a Roma e un’altra agli enti locali, oltre naturalmente a quella svizzera. Noi pensiamo a un sistema basato su addizionali, per destinare risorse direttamente a Comune e Regione. Ma è un discorso molto lungo». Lungo, complesso e, da quanto si percepisce, non c’è fretta di affrontarlo. I frontalieri possono stare tranquilli.
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