La scuola metafora di un paese involuto

La scuola italiana apre i battenti riproponendo quegli annosi problemi che nessun governo delle Repubblica è mai riuscito, neppure, a scalfire. Il cittadino assiste rassegnato e silente davanti al declino del nostro sistema scolastico che non riesce a stare al passo delle nuove generazioni di cui social e cellulari hanno profondamente mutato l’universo simbolico, il linguaggio e quello che, un tempo, veniva definito “immaginario collettivo”. La divaricazione tra insegnanti e alunni continua ad acuirsi e, in questo iato sempre più profondo, l’unica risposta è stata solo quella di burocratizzare il ruolo dei docenti i quali, in una società dominata dal mito della competizione sociale, rappresentano l’esempio più eloquente dell’impoverimento del ceto medio.

I problemi della scuola italiana sono numerosi e, per comprenderli, occorrerebbe ascoltare coloro che vi operano con eroica abnegazione malgrado la sprezzante indifferenza di una società che tende a mercificare tutto, compreso il titolo di studio. Nessuno si indigna, infatti, davanti a certe scuole private che regalano diplomi a caro prezzo e, parimenti, nessuno si indigna davanti a talune università on line che “vendono” le lauree contribuendo, in tal modo, a svalutarne il prestigio e il valore (la laurea di oggi equivale, ormai, al diploma di qualche decennio fa..).

Per tutte queste ragioni, sarebbe opportuno prestare ascolto ad un vecchio suggerimento del prof. Giavazzi secondo il quale sarebbe giusto valutare l’ipotesi di togliere ogni valore legale al titolo di studio. Si tratterebbe di una svolta rivoluzionaria che, in un paese conservatore come il nostro, avrebbe bisogno di anni di confronti e di dibattiti che sarebbero, comunque, utili per indurre i ragazzi a capire l’importanza di dotarsi di un bagaglio culturale che la scuola, da sola, non è in grado di garantire. Inutile nasconderlo, così com’è, la scuola italiana risulta inadeguata, come dimostra la preparazione media dei nostri diplomati (verrebbe da dire, anche laureati..) di cui lascia sgomenti la povertà lessicale e la mancanza di curiosità.

Un sistema scolastico all’altezza dei tempi dovrebbe formare un cittadino dotato di curiosità e di spirito critico, animato dal gusto della ricerca e consapevole della necessità di riflettere sugli abiti mentali (e sui pregiudizi...) ereditati dal contesto sociale e familiare. Nulla di tutto questo. Ad eccezione di sparute minoranze, gli studenti italiani denotano una indolenza culturale, a tratti sconsolante, che certifica in modo inequivocabile il fallimento della nostra istruzione. Sia chiaro, non è colpa dei ragazzi se la scuola italiana gira a vuoto da decenni, soffocata da un burocratismo esasperante che ha svilito la didattica e marginalizzato i problemi reali di una generazione di cui non si vuole capire il profondo disagio e il crescente vuoto identitario.

Politica e società civile sono i veri responsabili del declino di una scuola che rischia di diventare inutile visto che il famigerato “ascensore sociale” si è inceppato da tempo e, soprattutto, visto che i nostri giovani hanno la percezione che la cultura non paghi, come dimostrano le modeste retribuzioni di tanti laureati che assistono alle folgoranti carriere di tanti mediocri premiati per il loro inverecondo servilismo (lo vediamo bene in politica ma il discorso vale anche per la pubblica amministrazione, per l’informazione, per il mondo dello spettacolo, per le aziende). Tra le tante emergenze di un paese che evita di farsi domande, vi è quella di una fuga dei cervelli che si protrae da anni nell’assoluta indifferenza dei mass-media i quali preferiscono eludere il tema per evitare che si parli delle cause che la determinano (in primis, i salari da fame).

La scuola italiana, pertanto, rappresenta la metafora triste di una paese vecchio e involuto che stenta a capire l’importanza della cultura e del sapere. Questa è l’amara verità che gli adulti dovrebbero ammettere senza addossare ogni colpa ai giovani ai quali abbiamo confezionato un mondo che non si sono scelti.

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