La politica italiana e lo spettro di Trump

Ancora qualche adempimento formale, ancora la convention dei democratici, ancora qualche schermaglia di rito, e i giochi saranno fatti. Tutto, comunque, lascia intendere che sarà ben difficile per Biden - o per chi gli potrebbe subentrare come candidato alla presidenza - di impedire a Trump di tornare alla Casa Bianca. L’attesa per l’esito della partita in corso è forte in tutto il mondo. È in gioco la guida della, pur sempre, maggiore potenza del globo. Per di più, dalle urne potrebbe uscire un cambiamento storico dell’ordine politico internazionale.

E da almeno un ventennio che gli Stati Uniti stanno lavorando per ridimensionare la loro presenza in molti scacchieri mondiali con l’intento di potersi concentrare solo su quelli per loro davvero vitali. Uno su tutti: l’Estremo Oriente. Qui si gioca la sfida del secolo tra Cina e USA.

Lo slogan America first indica bene quale sia l’orientamento di Trump: mobilitare tutte le forze economiche e militari della potenza americana per reggere la sfida principale che l’attende: fermare le mire espansioniste, forse addirittura egemoniche, della Cina. È una sfida che chiama in causa un po’ tutti i paesi dell’Occidente e significativamente i membri della Nato, ma che prospetta di far pagare un conto assai salato in particolare all’Europa. Il Vecchio Continente, nell’eventualità di una presidenza Trump, si troverà solo a fronteggiare l’orso russo, che ha già azzannato l’Ucraina e che potrebbe azzannare in seguito gli altri paesi confinati, ex comunisti. Se c’è, infatti, un punto fermo nel programma della futura amministrazione Trump è proprio il suo disimpegno in Europa.

È bastata l’eventualità sempre più concreta che sia il candidato repubblicano ad insediarsi alla Casa Bianca per mandare in fibrillazione le forze politiche europee. Succede alla UE come all’interno dei suoi singoli stati membri. Orban, Le Pen e via via tutta la destra dei Patrioti aspettano e sperano - e si danno pure da fare - perché il leader repubblicano torni alla guida degli USA e, di riflesso, alla testa della destra/destra europea.

Da noi, è Salvini a scommettere sull’elezione di Trump. Ne va del suo futuro. Degradato a junior partner della coalizione di centro-destra, sovrastato dalla leadership ben salda della Meloni, il segretario della Lega ha individuato nel sovranismo nazionale il solo futuro possibile per quello che è stato un tempo “il partito dei Lumbard”. Sovranismo per Salvini non significa solo serrata difesa degli interessi nazionali a discapito della matrigna Europa, ma anche rigetto del cosiddetto “pensiero unico” progressista: diritti civili universali, mondializzazione, cosmopolitismo. Trump alla testa dell’America sarebbe per il segretario della Lega un appoggio salvifico. Lo liberebbe dalla marginalità politica in cui è finito: minoritario nel centro-destra, isolato e aspramente osteggiato dall’opposizione in coro. Ne farebbe il referente primo, forse unico, in Italia e, in quanto membro del gruppo europeo dei Patrioti, la sponda, all’interno dell’UE, della potenza americana, con tutti i vantaggi che ne conseguono. Salvini potrebbe avvalersi di questa relazione speciale con il presidente americano come leva da usare nella competizione con gli altri due partner del centrodestra.

Si è già avuto un assaggio delle tensioni che ne deriverebbero nella votazione per la nomina a presidente della Commissione europea di Ursula von der Leyen. La coalizione si è divisa: FI a sostegno, Lega e pure Fd’I contrari. Se le distanze si sono allargate in materia di politica europea, figuriamoci cosa potrebbe accadere sul tema più infuocato della guerra in Ucraina, con Salvini contrario a proseguire negli aiuti a Kiev e gli altri due partner del centro-destra determinati a perseverare nel suo sostegno. Si aprirebbe un conflitto sull’intero capitolo della politica estera e, sappiamo, la politica estera è la madre di tutte le altre politiche. È interesse per primo di Salvini non tirare la corda fino a provocare la caduta del governo. Un altro Papete lo incoronerebbe campione assoluto di affossatore (autolesionista) dei governi. Si può star certi, però, che una rielezione di Trump lo spingerebbe ad accentuare la rivalità con la Meloni.

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