Alle prese con un debito “monstre” e con tutti i pericoli connessi a tale situazione, negli ultimi mesi il governo ha ribadito la volontà di iniziare a porre rimedio a questa situazione.
In particolare, il ministro Giancarlo Giorgetti continua a predicare l’esigenza di essere prudenti e realisti. Senza rigore in materia di bilancio pubblico, d’altra parte, si rischia di far saltare l’intera economia.
Purtroppo, mentre a Roma si prende atto della gravità del momento, in vista delle elezioni a Bruxelles si sta recitando tutta un’altra commedia. A parte quattro isolati parlamentari, l’ampio schieramento degli eletti in Italia non ha votato il nuovo patto di stabilità: il centrodestra s’è astenuto, mentre la sinistra addirittura ha espresso un voto contrario.
Purtroppo, la demagogia è una malattia quasi inestirpabile dalla vita politica. E se quando ci si trova a gestire un bilancio si può essere in qualche modo costretti a tenere in considerazione la realtà, quando ci si muove in quell’universo assai confuso che è la politica europea è facile che si finisca per promettere tutto a tutti.
Se a Bruxelles i parolai hanno un formidabile successo, anche a Roma – comunque – non se la passano male. E infatti mentre il governo sta provando a uscire da anni caratterizzati da bonus e super-bonus, pure quanti sono stati artefici di ciò oggi avanzano critiche di vario tipo: in qualche caso sottolineando l’esigenza di tenere in vita questi sprechi clientelari, in altri denunciando ritardi nelle loro cancellazione.
In verità, se non si elimineranno molte voci di spesa (anche oltre le follie dei bonus), il debito non smetterà di crescere: andando ben oltre gli attuali 2.900 miliardi. Questo vorrà dire più tasse per pagare gli interessi e una crescente incertezza sul futuro. Con una spesa tanto alta, pure ogni ipotesi di riduzione delle tassazione sulle attività produttive è destinato a rimanere nel libro dei sogni.
E se la politica è dominata da obiettivi di brevissimo termine, a partire dalle elezioni, la cultura talora è pure peggio. Basti vedere come il mondo universitario stia combattendo una dura battaglia di retroguardia contro ogni presenza privata, a partire dalle telematiche, anche se ogni studente di un ateneo ordinario costa allo Stato oltre 10 mila euro, mentre lo studente di un’università “for profit” fa affluire all’erario alcune centinaia di euro. Invece di compiacersi di una realtà che può aiutare a evitare tagli, e invece si ripensare dalle basi un sistema universitario baronale e in grave difficoltà, si spara a zero su ogni realtà imprenditoriale in ambito educativo.
Quando l’alta cultura in Italia è dominata da queste idee, bisogna prendere atto che nel dibattito pubblico la demagogia non è unicamente il frutto del cinismo dei politicanti di professione: essa pure radici ideologiche. In effetti, in larga parte delle nostre classi dirigenti permane l’idea che “fare i conti” sia un’operazione poco nobile e che taluni obiettivi – ritenuti di assoluta importanza – vadano perseguiti a qualunque prezzo. Questa, però, è esattamente la strada che conduce al fallimento di un’intera società.
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