Di certo il presidente Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno, quando si riferiva ai “costruttori” , aveva in mente lady Mastella, il transfugo pentastellato Giarrusso e i vari cascami del defunto partito socialista. Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò, la cui battuta: “A proposito di politica ci sarebbe qualcosa da mangiare?” è sempre attuale. Perché dovranno essere questi costruttori a portare i mattoni necessari per tenere in piedi la baracca del governo Conte.
Se basteranno lo scopriremo solo vivendo martedì, con la conta del Conte al Senato, al contrario di coloro che non ce l’avranno fatta a causa del coronavirus e, nonostante siano ancora, purtroppo, diverse centinaia, sono trasmigrati dalla pagina 1 alla 16 nei giornali, sfrattati dai sussurri e dalle grida dei protagonisti della crisi di governo più surreale del mondo.
Un governo pugnalato dal suo mentore, quel Matteo Renzi che l’aveva fatto nascere, subito dopo che il suo omonimo Salvini, al terzo Mojito sorseggiato al Papeete Beach di Milano Marittima e già ebbro del risultato ottenuto alle elezioni europee aveva invocato quei pieni poteri, chimera con un Costituzione fatta apposta per evitare “Craponi” di ritorno. Adesso si vedrà, nella partita a poker tra il “demolition man” toscano e l’avvocato del popol,o chi ha in mano il punto vincente. Se Renzi perderà sulla sua carriera politica calerà la pietra tombale. Ormai nessuno si potrà fidare di lui. E gli starà bene perché non si butta giù un governo, anche se scalcagnato, nel pieno di una pandemia e con i fondi del recovery in ballo senza avere un piano B.
Forse l’ex di tante poltrone ce l’aveva: sventolare la spauracchio, far dimettere le due ministre Bonetti e Bellanova, a cui va tutta la solidarietà per il trattamento ricevuto da quello che sembrava il loro padrone delle Ferriere, sostituirle con Maria Elena Boschi e magari con se stesso in un ruolo di peso e strappare qualche altra poltroncina. Ma Conte anziché passare la mano ha scelto di andare a vedere il gioco di Matteo. E la questione è finita in vacca, anzi con un mercato delle stesse al plurale.
Se la coperta del premier fosse corta (i voti al Senato deve pescarli anche nel gruppo di Italia viva), sarebbe lui a dover fare le valigie e il toscano da molti maledetto rientrerebbe in gioco. Tra i due ormai è un Armageddon.
È vero Renzi ne ha fatte più di Carlo in Francia. E comunque il governo, come ha ricordato Enrico Letta, l’avrebbe fatto cadere l’anno scorso se non fosse arrivato il Covid a puntellare il Conte 2 che resta una compagine sostenuta da una maggioranza divisa e rancorosa verso il premier e soprattutto nei confronti di quello che dà la linea : il portavoce Rocco Casalino, ex Grande Fratello. A questo si è ridotta la politica italiana in una delle fasi storiche più difficili del paese. Ma di ciò non si può incolpare solo l’ex sindaco di Firenze. Bisogna partire da lontano, dalla storia di questa legislatura. Dalla vittoria dei Cinque Stelle (ve la siete dimenticata?) nell’ormai lontano 2018, senza avere però la maggioranza necessaria per governare da soli, all’indisponibilità del Pd ancora renziano ad allearsi con i grillini, all’innaturale esecutivo gialloverde del contratto che diceva tutto e il suo contrario, con un premier di facciata perché la poltrona era una e i leader, Salvini e Di Maio due. Poi la deriva del Papeete e il Conte 2 con uno stagno di rospi ingoiato tanto dai Cinque Stelle terrorizzati dall’idea di perdere le poltrone quanto dal loro alleato il “partito di Bibbiano”, più volte massacato dal Movimento.
Di certo a uscirne con le ossa rotte sia pure sempre in piedi, è il Pd, che a furia di andare a rimorchio, ha perso qualsiasi rotta. E forse il vero obiettivo di Renzi, più che Conte, è proprio il suo ex partito, che magari sarà pure costretto a ricucire con lui, nel nome di quel principio che governa l’attuale politica per cui quello che si dice vale solo nel momento in cui viene affermato.
La verità, costruttori e demolitore a parte, è che tutta l’impalcatura, compresa quella sbalestrata che forse sarà messa in piedi a inizio della prossima settimana, si regge solo su un presupposto: quello che porta lo stesso Mattarella, oltre ad armarsi una quantità industriale di pazienza, a mandar giù l’idea del deprecabile “scilipotismo” elevato a nobiltà politica nel nome dell’interesse supremo della nazione. L’Europa al cui ossigeno siamo costretti ad attaccarci per non perire di inedia, mal tollererebbe un’Italia governata da un centrodestra difficile da gestire e imprevedibile nei rapporti con Bruxelles. Certo, magari con il tempo le cose cambieranno e questo nuovo “fattore K” potrebbe venire meno. Ma ancora non è maturo. E soprattutto Pd, Cinque Stelle ed establishment assortito, vogliono evitare che a dare le carte nella partita per la successione a Mattarella siano Salvini e Meloni. Perciò un governicchio, con o senza Conte si dovrebbe fare comunque, anche se in politica mai dire mai. Sarà però un’altra Armata Brancaleone che, paradosso beffardo ma pure da brividi è seduta su una montagna di quattrini mai vista prima, neppure con il piano Marshall del dopoguerra, da queste parti. Cominciate pure a fare gli scongiuri.
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