Cronaca / Sondrio e cintura
Domenica 23 Novembre 2014
«La malasanità? È il medico in corsia
che non ha tempo»
Paolo Biglioli ospite in Bps presenta il suo libro e racconta la solitudine di essere un numero uno. «Dove va l’anima? Nessuno mi ha dato risposte»
Era solo, quando da bambino rubava le siringhe dalla farmacia del papà per “testarle” «sulla povera tata di Caspoggio». Solo, quando, giovane cardiochirurgo dell’Università di Lovanio, in Belgio, era costretto a resistere alle continue sconfitte di un team che, per cause di forza maggiore, non riusciva a far “passare la notte” ai piccoli pazienti operati.
E «una notte, ricordo, il direttore della Rianimazione andò verso una culla col bimbo morto dentro, lo staccò dai tubicini e dai cateteri, lo prese e gli mise la testolina sotto l’acqua del lavandino dicendo “Io ti battezzo...”. Era disperato, affranto, sconfitto, non so, uno strazio..”. Era solo quando alla sera, «prima dell’operazione al cuore del prossimo paziente, intorno a mezzanotte, entri in sala operatoria, ti lasci chiudere la porta dietro, e ascolti il silenzio della sala operatoria, immersa in una luce violetta che tocca gli oggetti in metallo e trasmette un’aura di mistero, quello che è anche del “gioco” fra la vita e la morte che vi si compirà di lì a poche ore».
Solo, anche quando, dopo cinquant’anni e più di attività, Paolo Biglioli, 74 anni, di Morbegno, cardiochirurgo di fama mondiale, dopo aver tenuto la sua conferenza d’addio al Centro cardiologico Monzino di Milano, il 30 giugno 2011, è andato nel suo studio, ha preso le sue cose, e non vi è più tornato. È quella “solitudine dei numeri uno” di cui riferisce, Biglioli stesso, per la penna della giornalista Paola Salvadori, nelle prime pagine del libro “Ho visto cose che noi umani. Buona e mala sanità, buona e mala umanità”, Novecento Editore, presentato ieri in una sala Besta della Banca Popolare di Sondrio gremita di amici e colleghi di Biglioli, cardiologi, soprattutto. Al suo fianco, oltre a Paola Salvadori, Piero Melazzini, presidente onorario dell’istituto di credito, Francesco Venosta, presidente, e Mario Alberto Pedranzini, consigliere delegato e direttore generale.È in questo contesto “amicale” che si è svolta la conversazione di Biglioli, intrisa di un’umanità che, a sentirla, par fin scontata, eppure ancora distante da tante corsie ospedaliere.
«La malasanità cui mi riferisco nel libro che, preciso, non ha fini commerciali essendo il ricavato destinato a “Il seme della speranza onlus” - ha detto -, non è quella macro che assurge agli onori delle cronache, delle pinze dimenticate dentro le pance, no. È quella che si consuma in corsia quando il medico passa e il paziente lo chiama con gli occhi, ma, lui, non risponde. È impegnato, gli dice che non ha tempo. Ma il malato, per un medico, deve essere sacro, deve essere al centro dell’attenzione e il tempo va trovato sempre, al pari di un posto letto». È una visione pura, etica, quella che Biglioli conserva della medicina di ieri, di oggi, di domani.
«Non vedo, poi, questi grandi cambiamenti nel sistema - ha detto rispondendo a Francesco Venosta, sulla maggiore esposizione dei medici a cause legali - . Credo di essere uno dei pochi medici in Italia a non aver mai avuto avvisi di garanzia, ma penso anche che, se un medico fa bene il proprio lavoro, ascolta l’ammalato, gli parla, non so cosa abbia da temere. È vero che le cause aumentano, ma spesso finiscono in niente. Dopodiché su 450mila medici in Italia, ce ne sarà pure una fetta non in odore di santità».
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Profondo anche il rispetto di Biglioli rispetto al «mistero della vita che, in sala operatoria, nel nostro caso, persino si ferma – ha detto -. Perché, raffreddando il cuore fino a 17-18°, questo ha uno stop, il cervello è piatto. È in quest’ora, che noi operiamo, poi, piano piano, rialziamo la temperatura e il cuore inizia di nuovo a battere. Ma, mi sono sempre chiesto e ho chiesto a tante persone competenti in materia, dove finisse l’anima, che si dice abbia sede nel cervello, in quell’ora. Nessuno mi ha mai risposto».
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