La finestra aperta tra Russia e Ucraina

Una finestra per l’inizio di trattative sull’Ucraina si è finalmente aperta, ma quanto essa sia grande è difficile da stabilirlo, come impossibile è prevedere se le parti in causa sfrutteranno tale momento. Il maxi-scambio di prigionieri e le ultime (in ordine di tempo) minacce di Vladimir Putin all’Occidente vanno inquadrati in questo scenario.

Facciamo un passo indietro. Il summit della Nato di Washington del 10-11 luglio ha deciso di imprimere una brusca accelerazione alla tragedia russo-ucraina. L’obiettivo non dichiarato è di chiuderla al più presto. Sono state così decise una super-escalation militare con la consegna di imponenti quantità di armi a Kiev, una forte pressione psicologica su Mosca, ma contemporanee aperture.

Partiamo dal maxi-ritorno a casa di spie e di oppositori. L’Occidente mostra al Cremlino che le intese sono possibili. Putin ha accettato uno scambio all’apparenza per Mosca squilibrato, ma che è servito a rilanciare lo stesso la sua popolarità in Russia, dove non pochi sono i problemi.

Un paio di settimane fa è stata approvata una sofferta riforma fiscale, che fa venire meno gli impegni presi con la società federale con la flat tax. Alle Olimpiadi, evento sportivo da sempre popolare, la Russia di fatto non partecipa e i Giochi manco vengono trasmessi. Un’immagine di isolamento del genere fa a pugni con la propaganda opposta post febbraio 2022.

Passiamo alle minacce, argomento ben più delicato in risposta alla pressione psicologica. Minacce utili per il Cremlino per impostare un negoziato geostrategico con l’Occidente quanto mai necessario. Se, ha detto Putin, nel 2026 dislocherete missili a lungo raggio in Germania - come annunciato dal presidente Biden e dal cancelliere Scholtz - noi non rispetteremo la moratoria (da noi autoimpostaci) sulla produzione e installazione di missili a medio e a corto raggio, dopo che nel 2019 Usa e Russia hanno abbandonato - per volontà di Donald Trump - il trattato Inf del 1987, trattato che di fatto pose fine alla Guerra Fredda. In pratica, si tornerebbe allo scenario della crisi degli Euromissili del 1983 con testate puntate contro le maggiori città del Vecchio Continente.

Dopo poche ore dalle parole di Putin Mosca ha iniziato le terze esercitazioni delle proprie “forze nucleari non strategiche” in pochi mesi. L’annuncio di Biden e di Scholtz è servito ad anticipare la tattica, seguita dal leader russo nel suo agire diplomatico, di alzare la posta all’infinito. In breve, da quanto si intuisce, la tragedia russo-ucraina dovrà avere necessariamente trattative riguardanti le questioni bilaterali (problemi territoriali su tutto) ed un negoziato geostrategico tra Russia e Occidente.

Il Cremlino vorrebbe discutere anacronisticamente di sfere di influenza, come se non vivessimo già nel XXI secolo! L’apparente lento mutamento di posizionamento nelle sale dei bottoni moscovite è dovuto a numerosi fattori. Primo: l’Occidente non si è sfaldato nel sostegno a Kiev, anzi. Secondo: le Presidenziali Usa sono più aperte che mai e Trump ha iniziato a dialogare con Zelensky. Terzo: l’Operazione militare speciale avanza lentamente.

In Russia si intravvedono poi all’orizzonte anche complessità finanziarie, economiche e commerciali. Da quanto raccontano specialisti a Mosca le transazioni finanziarie tra Russia e Cina sono in gran parte bloccate. Lo stesso avviene con l’India. Semplificando, i russi non riescono a rimpatriare i capitali guadagnati all’estero a causa delle sanzioni finanziarie Usa. Così il governo studia l’uso di criptovalute. Il budget del 2025 non sarà facile definirlo per le spese militari, sostenute chissà ancora per quanto tempo dalla vendita di petrolio.

L’ultima novità è che l’arsenale sovietico - ereditato dalla Russia e fin qui utilizzato in Ucraina - sarebbe agli sgoccioli, quindi serve produrre armi in grandi quantità. Ma l’industria russa è in grado di fare questo sforzo? In conclusione, se finiscono i soldi termina il conflitto. Nelle sale dei bottoni moscovite qualcuno inizia a pensare che forse è meglio cominciare qualche trattativa fino a che si hanno degli assi ancora in mano.

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