Lentamente alcune delle incompiute lecchesi sembrano ripartire con buone probabilità di arrivare a compimento in tempi non biblici. Resta, per il centro cittadino, la grande incognita dell’edificio ex Popolare di Lecco, quest’anno almeno illuminato in occasione delle feste con la proiezione di giochi di luce. Fuori dal momentaneo maquillage circoscritto al breve periodo, resta però l’interrogativo sul suo destino futuro. È vero che una proprietà privata comporta dei limiti alla possibilità di un intervento pubblico, ma non mancano esempi anche recenti in Italia in cui si è imposto ai proprietari di procedere ad adeguate soluzioni per evitare, da un lato il degrado irreversibile di una componente architettonicamente nevralgica per il decoro urbano, dall’altro per recuperare una struttura economicamente fondamentale per la ricaduta sull’indotto che le gravita intorno.
Una città come Lecco non può essere pensata a compartimenti stagni, né da chi ogni giorno la vive e ne introietta quasi automaticamente l’immagine con un atteggiamento a volte rassegnato, né da chi la frequenta per ragioni di lavoro o di turismo e ne coglie più criticamente aspetto d’insieme e dettagli. Men che mai Lecco può essere valutata a segmenti separati da chi per compito istituzionale e per superiore visione ha il dovere di intenderla come un corpo unico, alla cui efficienza e gradevolezza anche il più marginale dei particolari, e non è questo il caso, inevitabilmente concorre.
Se dunque l’apparente silenzio su un problema che andrebbe risolto grazie proprio alla sinergia tra privato e pubblico desta non poche perplessità, lascia altrettanto sorpresi il fatto che invece questa sinergia sia non solo auspicata, ma quasi invocata quando da un settore come quello dell’edilizia e dell’urbanistica si passa al settore della cultura. Nessuno ha ovviamente da eccepire se il restauro al monumento di Manzoni, per esempio, si avvale del contributo di un privato cittadino, mosso oltre che dall’amore per uno dei simboli della nostra città, anche dal legittimo desiderio di far conoscere la propria attività di imprenditore. Senza la generosità di questo encomiabile mecenatismo, la storia non solo di Lecco ma dell’intero Bel Paese sarebbe stata più asfittica. E quindi ben vengano contributi di questo tipo. Li abbiamo chiesti nel passato, continueremo a considerarli vitali per il futuro.
Quello che però lascia perplessi è che nella nostra città, come in gran parte d’Italia, la cultura venga pensata spesso in funzione ancillare, per non dire assistenziale, e che non la si ritenga invece un settore primario a cui destinare quanto arriva dai cittadini contribuenti. Forse è davvero arrivato il momento che le istituzioni lecchesi maturino una diversa coscienza, contando meno su interventi miracolistici di privati ritenuti capaci di ovviare alle carenze dell’iniziativa pubblica.
Se di sinergia si sente la necessità, la si pensi come interazione tra il complesso e articolato mondo che alla cultura attiene in tutte le sue manifestazioni (cinema, teatro, scuola, musica, letteratura, arte) e il mondo della politica che a livello locale ha il compito di amministrarci. Lecco ha oggi più che mai bisogno di cultura, perché la cultura dà frutti, nei tempi brevi, ma ancor più nei tempi lunghi, e in cultura bisogna investire. Con convinzione però, consapevoli che la cultura ha un costo, come la pavimentazione di una strada o la cura del verde pubblico, e che non si può pretendere di procedere sempre a parametro zero, confidando nel benefattore di turno. Forse quello che oggi ci vuole davvero a Lecco per un definitivo salto di qualità non è solo una sinergia pubblico-privato, ma un nuovo ruolo della componente pubblica, che deve dettare i tempi e stabilire le priorità, assumendosi in assenza di alternative i costi per intero, perché la cultura non è un lusso superfluo, ma il fondamento basilare di una comunità.
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