La Cina in Africa alternativa all’Occidente

È in Africa dove la Cina tesse la sua rete per diventare potenza planetaria. A poco più di un mese dal summit di Kazan del Brics nel suo nuovo formato allargato, Pechino ha ospitato il 9° Forum “Focac” con la presenza di una cinquantina di capi di Stato e di governo del continente nero. L’obiettivo di Xi Jinping è quello di presentarsi, in ottobre in riva al Volga, come il vero rappresentante del cosiddetto “Sud Globale”. E se si guarda solo all’Africa la Cina è oggi il primo partner commerciale, il primo investitore, il primo creditore.

L’ex “Impero celeste” è interessato soprattutto al futuro miliardo di consumatori.

Nella Gran sala del Popolo Pechino ha promesso tra crediti e investimenti 360 miliardi di yuan, circa 45,7 miliardi di euro, nel triennio 2025-2027. Per la prima volta verrà utilizzata la divisa cinese nella marcia verso la sua piena internazionalizzazione. Così in Africa mentre russi ed occidentali litigano, i cinesi fanno affari e tentano di ottenere sostegno politico da usare sullo scenario internazionale. Diverso è l’approccio. Ad esempio, non si ricorda che, negli ultimi 20 anni, Pechino abbia fatto qualcosa per sollevare o imporre un despota. Ma attenzione alle apparenze pacifiste: con il 19% del volume totale, la Cina è diventata la maggior esportatrice di armi superando la stessa Russia e mantiene a Gibuti, all’imbocco del mar Rosso – via obbligata verso il canale di Suez per le merci in transito tra Europa ed Asia –, l’unica base navale all’estero.La presenza è anche sostanziale. La Cina ha 60 sedi diplomatiche in Africa contro le 56 degli Stati Uniti. Ma il presidente Xi Jinping ha visitato di recente il continente nero cinque volte, mentre mai lo hanno fatto i due ultimi capi della Casa Bianca. Il recordman è, però, Recep Tayyip Erdogan. Sono proprio la Turchia (che ha chiesto di aderire al Brics – il club dei Paesi emergenti), la Cina e la Russia (che usa i suoi contatti dell’epoca sovietica, offrendo “sicurezza“ai vari regimi grazie ai propri mercenari) a colmare il vuoto lasciato dagli europei in Africa. I francesi si stanno lentamente ritirando dal Sahel; i britannici appaiono distratti dai guai causati dalla loro Brexit e dai problemi di casa.

Gli occidentali hanno messo in guardia gli africani dal legarsi troppo ai cinesi. Il tasso di indebitamento finanziario verso Pechino è pesante e ha già creato seri mal di pancia. Ma la fame di infrastrutture – invero poi difficili da costruire e da gestire – induce non pochi Stati africani a provare comunque questa via. Lo stesso vale per il gap tecnologico da colmare e le problematiche successive di dipendenza. In generale in Africa Pechino compra materie prime (in particolare petrolio, gas e minerali rari) per le sue industrie e rivende manufatti guadagnando sul valore aggiunto.

Spesso, però, non ricambia aprendo il suo mercato ai prodotti agricoli africani, giustificandosi con questioni sanitarie.Tornando al forum, la direzione della cooperazione Cina – Africa è leggermente cambiata: si seguirà ora il percorso della transizione verde e della lotta al cambiamento climatico. Negli ultimi tempi, anche in casa propria, Pechino ha deciso di imporre una drastica accelerazione alla costruzione di decine di centrali atomiche. «Un futuro comune in una nuova era» è il titolo assegnato da Pechino al suo Piano d’azione. Una pioggia di yuan, la capacità di costruire mega-infrastrutture e quella innata di commerciare sono le componenti base, unite ad una solida retorica terzomondista, della Cina che si presenta oggi in Africa come alternativa all’Occidente.

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