
Economia / Valchiavenna
Venerdì 20 Gennaio 2017
La Brisaola fa gola: «Ma è inimitabile, sì a Slow Food»
Anche il Consorzio turistico scende in campo a favore del prodotto chiavennasco. «Il nostro insaccato è artigianale, questa è la sua forza».
«La brisaola è un patrimonio di tutti, ma non per tutti. La soluzione è il presidio Slow Food». Continua il dibattito sul destino, strettamente artigianale o con un possibile risvolto industriale, del salume d’elezione della Valchiavenna. La “brisaola” tipica delle valli del Liro e del Mera è stata oggetto ieri di un intervento del Consorzio di promozione turistica della Valchiavenna, che ha colto l’occasione per annunciare che la prossima edizione della manifestazione “Il Dì della Brisaola” si terrà domenica 1 ottobre.
«C’è il massimo impegno dei produttori artigiani valchiavennaschi e del Consorzio turistico per valorizzare un prodotto con la sua tradizione secolare unica e irripetibile. Occhi vigili che scelgono la miglior carne bovina, mani abili che selezionano i tagli e dosano le spezie, il soffio delicato della montagna che li accarezza durante la stagionatura regalando un sapore inimitabile, il tocco magico dell’affumicatura. Così era nel 1400 e così è oggi per la bravura e la passione dei piccoli produttori locali: la brisaola è il prodotto principe della tradizione gastronomica della Valchiavenna». Si torna a sottolineare la differenza con il prodotto valtellinese, ma soprattutto ci si concentra sui possibili sviluppi di una produzione industriale come quella annunciata dal salumificio Rigamonti di Montagna in Valtellina: «Non è un caso - spiegano dal Consorzio di piazzale Caduti - che Slow Food guardi alla brisaola per la costituzione di un secondo presidio, accanto a quello del violino di capra. Tutto questo conferma come la strada intrapresa, in stretta sinergia fra produttori e enti pubblici, sia quella giusta, seppure ancora all’inizio. E non c’è da sorprendersi se tanto clamore, e soprattutto se tanta bontà, non siano sfuggiti a un salumificio industriale che ha deciso di utilizzare la denominazione “brisaola”. Segno evidente che gli strateghi del marketing hanno intravisto un potenziale commerciale. È presto per dire quali conseguenze avrà un’industrializzazione che riguarda il nome ma non il prodotto, che rimane unico e irripetibile, impossibile da produrre nei grandi impianti dove mancano le mani degli artigiani, la ricetta segreta e il sorèl che soffia nei crotti».
Non ci si fascia la testa, però. Almeno per il momento. L’idea è che con un marchio di prestigio la differenza tra il prodotto industriale e quello artigianale andrà a emergere in modo naturale: «Invece di interrogarci e di indignarci, analizziamo la situazione, valutiamo positivamente il rinnovato entusiasmo dei produttori, dei giovani soprattutto, e lavoriamo tutti insieme con impegno per capitalizzare quanto è stato ottenuto sin qui. Ancora poco rispetto al potenziale della brisaola e di chi la produce. La brisaola è patrimonio di tutti, ma non può essere per tutti, come le confezioni industriali vorrebbero far credere. La costituzione del presidio Slow Food potrebbe essere la soluzione per decretare una volta per tutte, oggi e domani, in provincia di Sondrio e oltre i confini, l’unicità della brisaola».
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