Italiani e fisco un difficile rapporto

Dalle dichiarazioni dei redditi 2022 di alcune categorie economiche elaborate dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia emerge un’Italia dei paradossi. Un Paese dove ormai gli elettricisti dichiarano al Fisco un reddito più alto dei dentisti e degli avvocati.

Dove i tassisti e i ristoratori denunciano nel 2022 un reddito di 15.000 euro pari a quello del 2019 e dove i bar e le pasticcerie vanno avanti con meno di mille euro al mese. Sono dati anomali e chiaramente inattendibili che evidenziano un difficile rapporto tra gli Italiani ed il Fisco e che dovrebbero suscitare una riflessione tale da indurre ad un ripensamento della strategia finora seguita dal Governo nella lotta all’evasione fiscale.

Invece, i redditi dichiarati dagli ingegneri e dai geometri sono aumentati del 50% negli ultimi quattro anni probabilmente per effetto dei lavori edilizi col superbonus del 110% e delle fatture pagate con i bonifici “parlanti” che non consentono evasione. Per quasi tutte le altre categorie i redditi medi dichiarati nel 2022 sono ritornati ai livelli precedenti alla pandemia. Si sono ripresi più che bene solo gli alberghi in conseguenza dell’aumento del turismo internazionale. I balneari hanno dichiarato nel 2022 un reddito medio di 26mila euro, che però è molto variegato passando da un minimo di 2.700 dell’Argentario a un massimo di 270mila di Lignano. Sono pochi per il presidente nazionale del sindacato Sib, Antonio Capacchione, titolare di uno stabilimento in Puglia, che ha dichiarato un reddito di circa 250mila euro. Secondo i dati del ministero dell’Economia i tassisti, invece, hanno dichiarato nel 2022 un reddito medio di 15.449,15, che è però contestato dal presidente dell’Unione radiotaxi, anche se il dato è desunto dalle dichiarazioni degli stessi interessati.

Nel frattempo il Governo è già al lavoro per la ricerca di risorse per la prossima legge di bilancio. Nel 2025 serviranno 15 miliardi di euro almeno per confermare le misure già varate per il 2024. Poi secondo le nuove regole europee servirà una riduzione del deficit pubblico di almeno 0,6 punti. Bisognerà pure verificare i tagli della spending revew del 2024 e programmare quelli del prossimo anno. Ma la preoccupazione maggiore riguarda l’esito della lotta all’evasione, a cominciare dal nuovo concordato fiscale biennale proposto a 2,7 milioni di autonomi sui redditi del 2024-25 per non avere controlli.

Ma, il principale oggetto della manovra riguarderà anche una più attenta gestione della spesa pubblica oltre a un maggior impegno sulla lotta all’evasione fiscale, in quanto le linee guida che la Commissione Ue ha dato agli Stati membri prevedono un piano di rientro del deficit di quattro o sette anni da presentare entro il 20 settembre. Essi devono garantire che la spesa netta cresca meno del Pil in modo da tenere sotto controllo il debito e conseguire un miglioramento di circa 12 miliardi di euro all’anno (lo 0,6% del Pil) fino al 2031 per il rientro graduale del disavanzo.

Questo è anche il messaggio che arriva dalla Corte dei Conti nella relazione sul del Rendiconto generale dello Stato per il 2023. Inoltre, la Corte rileva che continuano a essere inferiori ai risultati pre-pandemia gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, dovuti sia alla carenza di personale che al permanere della difficoltà di un pieno utilizzo delle banche dati tributarie, in particolare quelle sulle fatture elettroniche e i rapporti finanziari. Secondo la Corte occorrerebbe una maggiore frequenza dei controlli per contrastare l’evasione diffusa, che però è difficile per la mancanza di personale.

Il Governo dovrà poi trovare altre risorse, oltre quelle già sopra indicate, da inserire nel Piano strutturale di bilancio di medio termine da presentare a Bruxelles entro il 20 settembre per prorogare il taglio del cuneo fiscale ed altri sgravi pari a 21 miliardi nel 2025, 23 miliardi nel 2026 e 25 miliardi nel 2027. Inoltre, bisognerà spendere di più per la Sanità, afflitta da lunghe liste di attesa dei pazienti e dalla fuga del personale sanitario non adeguatamente remunerato.

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