Adesso sono i francesi che si inc… ma non quelli della canzone di Paolo Conte che mangiavano la polvere di Bartali. E neppure la nazione tollerante e integrante pre Isis e attentati che in una nazionale, quella di Argentina 1978, di tutti bianchi aveva l’unico nero, Marius Tresor con la fascia di capitano. Balotelli trent’anni prima.
Il problema è che ai mondiali di Russia che vivono oggi il calcio d’inizio non ci siamo. Altrimenti sarebbe l’occasione per prenderci qualche rivincita su coloro che, negli ultimi tempi, ce ne hanno cacciate di ogni. In primis i tedeschi che adesso si sono un po’ calmati, ma tra opinionisti e commissari europei non ci sono andati giù leggeri con l’Italia. Forse, Brasile permettendo, (ma si gioca in Europa dove l’unica volta che non ha vinto una squadra continentale è stata proprio quella verdeoro, in Svezia dove però come ora non c’era l’Italia) si prenderanno anche questa Coppa del mondo. Anche perché hanno la certezza di non incrociare i tacchetti con i nostri azzurri. Gary Lineker, centravanti inglese di discreta vaglia sentenziò che il calcio “è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”. I tedeschi per i Mr. Brexit, dal punto di vista calcistico, sono stati un incubo che si protratto ben oltre i tempi dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. L’unica volta che hanno sconfitto i panzer sui campi verdi hanno dovuto fare come Buffon con il milanista Boateng, grazie a un gol fantasma che è valso l’unico mondiale albionico peraltro domestico nell’anno 1966. Ma Lineker non ha considerato l’Italia. Dal quel giorno perpetuato da una targa allo stadio Azteca di Mexico City, da quella partita diventato libri, film e di cui si narra ancora quasi 50 anni dopo, i tedeschi con noi l’hanno sempre vista brutta.
E in quel rigore in movimento di Gianni Rivera che valse il 4-3 nel secondo supplementare con il pallone da una parte e la manone di Sepp Maier dall’altra a tirar su l’erba c’è tanto del carattere italiano. Gianni era finito per caso nella metà campo dei bianchi, dove si era rifugiato per sfuggire alle ire del portiere Ricky Albertosi, dopo che non era riuscito a fermare un placido tap in di Gerd Muller sul palo in cui era piazzato per il calcio d’angola. Paura, un po’ di vigliaccheria e genio, caratteri italiani degli eroi anti eroi quali Busacca Giovanni Gasmann e Jacovacci Oreste Sordi che dopo una Grande Guerra monicelliana da imboscati si fanno fucilare per non rivelare informazioni riservate all’arrogante ufficiale teutonico: “Mi te disi un bel nient… facia de m…”, sono le ultime parole di Busacca Gasmann.
Già contro i tedeschi ci viene facile fare gli eroi anche perché c’è un certo gusto a suonargliele, loro sempre lì con il dito alzato a farci la morale: “italiano, mandolino, baffo nero”, spaghetti e P38 e altro nelle simpatiche copertine delle loro riviste. Ai mondiali non c’è mai stata storia. Dopo il 1970 è arrivato il 1982: Bearzot e la finale vinta con l’urlo di Tardelli e la pipa gioiosa di Pertini, il partigiano presidente, figuriamoci. Poi il 2006, il mondiale vinto a casa loro, pur giocando un calcio da sbadigli e permettendoci di farli fuori in semifinale ai supplementari.
No, nel calcio lo spread gira davvero al contrario. E se l’ultima volta, ma non erano i mondiali bensì gli europei, li abbiamo fatti passare è ancora per quel maledetto vizio di essere italiani e un po’ smargiassi uscito fuori nei due sciagurati rigori di Zaza e Pelle.
Insomma se con la Germania stavolta siamo messi male più che di Salvini la colpa è di Ventura. Per fortuna il calcio ti offre sempre la possibilità di rivincita. A tutti tranne che ai tedeschi con noi. Buon mondiale a tutti.
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