Cara provincia
Sabato 31 Gennaio 2009
Intercettazioni, atto demoniaco o democrazia?
Non c'entrano con la democrazia a rischio
I carabinieri hanno arrestato la banda di romeni che ha violentato nella notte tra giovedì e venerdì scorso una giovane di 21 anni e picchiato brutalmente il suo fidanzato in una zona di campagna di un Comune vicino a Roma. Questi delinquenti sono stati presi con le intercettazioni telefoniche: proprio quelle che il nostro beneamato e altruista presidente del Consiglio ritiene essere la cosa più "demoniaca" e antidemocratica del mondo, tanto che ci sarebbero complotti su complotti per affossare la democrazia. Uno dei reati per cui sarebbero escluse è proprio lo stupro. Invito gli onesti cittadini ad aprire gli occhi: se la democrazia è a rischio non dipende certo dalle intercettazioni.
Devis Tonetto
Il tiro sulle intercettazioni fortunatamente è stato modificato, e ne ha dato notizia la relazione sullo stato della giustizia tenuta due giorni fa alla Camera dal ministro Alfano. Le si potrà effettuare per tutti i reati che prevedono più di cinque anni di carcere, avranno un limite temporale di 45 giorni (tranne che per le inchieste su mafia e terrorismo) prorogabile di altri quindici se le indagini lo richiederanno. Non è poco, se si considera da dove si era partiti, e cioè dall’idea di rilasciare le autorizzazioni solo per mafia e terrorismo. Non è moltissimo, se si parte dalla convinzione che le intercettazioni sono un mezzo investigativo importante e spesso fondamentale, di conseguenza prezioso nell’individuare qualunque tipo di violazione del codice penale. Anche quelle che comportano una reclusione inferiore a cinque anni. Si dovrebbero dunque poter usare tutte le volte che sembri opportuno farlo, e senza che nessuno s’indigni. Il cittadino onesto ha tutto da guadagnare e nulla da perdere da questo largo utilizzo, purché sia naturalmente salvaguardata la privacy di chi incorre casualmente nell’ascolto telefonico mirato su un’utenza sospetta; purché non divengano di pubblico dominio conversazioni destinate a rimanere al coperto del segreto istruttorio; e purché non si diffondano chiacchiere che nulla c’entrano con il caso giudiziario in questione. Per ottenere tutto ciò, non basta appellarsi al senso di responsabilità dei giornali, che hanno il dovere e non solo il diritto di pubblicare ciò che vengono a sapere; è necessario chiudere le fonti da cui sgorga l’acqua, spesso melmosa, che inonda le cronache. Quanto alle condizioni della giustizia nel suo insieme, cinque milioni di cause civili pendenti e tre milioni di processi penali ancora in corso indicano qual è l’emergenza primaria della riforma che s’annuncia bipartisan.
Max Lodi
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