Cronaca / Sondrio e cintura
Venerdì 13 Dicembre 2013
Indagine evasione fiscale
127 i milioni contestati
La Guardia di finanza l’ha chiamata operazione Shiva e non a caso. Il nome, infatti, deriva da una divinità indiana, solitamente rappresentata con più braccia
La Guardia di finanza l’ha chiamata operazione Shiva e non a caso. Il nome, infatti, deriva da una divinità indiana, solitamente rappresentata con più braccia.
Il motivo è presto detto: i numeri della grande inchiesta che si è conclusa nei giorni scorsi con la denuncia di 29 persone (delle quali quattro arrestate nella notte tra venerdì e sabato, altre due destinatarie della misura dei domiciliari) sembrano quasi quelli di un comune di medie dimensioni. In totale, infatti, viene contestata l’emissione di fatture false per 47 milioni di euro e il riciclaggio per oltre 77 milioni di euro. E, soprattutto, sono stati individuati 127 milioni di euro considerati come proventi di evasione fiscale.
Una trentina le società coinvolte, soprattutto tra le province di Sondrio, Pavia e Brescia, alcune delle quali - per l’accusa - poste in essere solamente per poter emettere fatture false. Addirittura, alcune società venivano rilevate a poco prezzo quando si trovavano in precarie condizioni economiche. Venivano svuotate in maniera scientifica di ogni bene e di ogni cespite e poi utilizzate come cartiere. In che modo? Venivano emesse fatture false per abbattere i costi delle aziende e dichiarare meno imponibile o per ottenere rimborsi Iva non dovuti e andare così a credito di imposte. Ma non solo.
Secondo l’accusa, attraverso il cosiddetto sistema delle frodi carosello (vale a dire producendo fatture false e operando in completa evasione di imposta) venivano acquistati all’estero metalli di vario genere a prezzi concorrenziali, poi rivenduti sul mercato italiano a prezzo quasi sempre più basso rispetto a quello proposto dalle altre aziende del settore.
I
Gli utili prodotti in questo modo erano davvero ingenti, calcolati dai militari della compagnia di Sondrio agli ordini del capitano Giuseppe Papa, in decine di milioni di euro, che venivano poi riciclati attraverso canali nazionali e internazionali nelle più disparate attività. L’organizzazione, infatti, aveva base in Valtellina ma operava tra Italia, Francia, Austria, San Marino e Slovenia. L’indagine è iniziata nel 2009 a seguito di una verifica fiscale fatta nei confronti di un soggetto economico cointeressato in diverse attività nel settore edile e immobiliare.
I successivi accertamenti - per l’accusa - avrebbero portato a dimostrare che si trattava di un prestanome che gestiva le sue attività nell’ottica di un disegno molto più ampio. Ci sarebbe stata, quindi una struttura molto ben articolata. Tutto sarebbe stato studiato a tavolino, proprio per ottenere il massimo profitto. E le società cartiere avevano tutte una vita molto breve, in modo da ridurre il più possibile il rischio di eventuali controlli da parte delle forze dell’ordine o degli uffici tributari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA